"Finirono rapidamente la micro-pizza, svuotarono in silenzio i bicchieri. Ritrovando almeno l’innata educazione i due si alzarono in simultanea, Filiberto pagò il conto, al solito sproporzionato, ed uscirono dal locale. Raggiunta l’auto, vi salirono... Lei scese, pronunziando un debole saluto, ricambiato solo formalmente da Filiberto. Si allontanò nella nebbiolina e questa volta Filiberto non attese che fosse entrata nel suo portone. Ingranò la marcia e partì. Non si videro mai più...” Circostanze.
Primo capitoloFiliberto aveva avuto un successo straordinario e del tutto inaspettato con il suo primo e, fino ad allora, ultimo romanzo. Egli era un professionista serio, molto serio, troppo serio per l’ambiente corrotto nel quale operava, la sanità pubblica, adornata di vere eccellenze a macchia di leopardo, e tessuta di incapaci messi in posizioni chiave per esclusivi meriti politici. Dei veri utili idioti, pronti ad ostacolare le necessità elementari del popolo e a fornire servizi, adulterati, ai raccomandati. Tutto questo, pur cercando di lavorare nel migliore dei modi, tra mille difficoltà, lo aveva spinto a cercare strade alternative, il più lontano possibile dal mondo della propria professione. La scrittura si era rivelata la strada più redditizia dal punto di vista spirituale, e la più economica da praticare, molto di più rispetto alle corse in motocicletta di tanti anni prima. Infatti Filiberto era un cinquantenne molto inoltrato, con spirito giovanile (termine terribile nella sua dichiarazione implicita di effettiva anzianità) e fisico atletico, asciutto, elastico e scattante solo nella memoria remota. Il suo primo romanzo, edito da una battagliera e tenace professoressa, dalla voce sensuale e suadente, gli aveva procurato fama e qualche denaro. Le frequenti serate di promozione, i passaggi radiofonici e televisivi, gli avevano fatto conoscere tanta gente interessante, molti simpaticoni, qualche fanatico della scrittura. Era fedelissima alle presentazioni una professoressa di mezza età che, seduta nelle prime file, puntualmente, si addormentava dopo la prima mezz’ora per risvegliarsi ad ogni applauso. Le truccatrici delle televisioni, peraltro straordinariamente trascurate nell’aspetto, lo avevano costretto a tagliare i capelli disordinati e a curare la folta barba di un colore bianco traditore, che però piaceva almeno a metà dello schieramento di fan giovanili e attempate che lo assediavano: ci fossero state quando aveva venti, trenta o quarant’anni sarebbe stato meglio. Ormai, però, era passato più di un anno e Filiberto non aveva scritto più nulla. L’editrice lo pressava continuamente, lo blandiva, gli ricordava i suoi impegni contrattuali, lo incitava e lo lodava senza successo. A Filiberto non solo era passata l’ispirazione, ma, addirittura, aveva cominciato ad annoiarsi. Cercava nuove esperienze, coltivava nuove iniziative e lavorava dalla mattina alla sera nel tentativo di trovare l’idea vincente per non lavorare più. Il disagio profondo che viveva sul lavoro, circondato da soggetti che negavano con tutte le proprie forze l’esistenza del cervello, accompagnato al disagio che aveva sostituito il piacere di tornare nella sua casa sui monti, lo spingeva a cercare nuove soluzioni di vita. Tutte le disavventure vissute gli avevano insegnato una lezione fondamentale: cercare di trasformare le difficoltà in spinte propulsive positive. La villa in montagna era situata in un parco regionale, tanto protetto a chiacchiere quanto vilipeso nei fatti. Selvagge aree pic-nic preda di subumani che avevano piacere a banchettare con surgelati di infima qualità tra escrementi animali e rifiuti autoprodotti, trovavano non ostacolo ma protezione da ottusi forestali ciechi di fronte allo scempio di centinaia di automobili che invadevano i boschi, sordi davanti ad altoparlanti potentissimi che stordivano gli imbecilli paganti e mettevano in fuga la fauna “protetta”. Discariche abusive si moltiplicavano e gli allarmi lanciati ai cosiddetti volontari della protezione civile oltre che ai forestali, andati ad inquinare l’onorata arma dei carabinieri, cadevano nel vuoto o venivano addirittura irrisi da cialtroni in divisa pronti a fare controlli dopo la fuga dei trasgressori. Bisognava, dopo aver fatto ricorso invano all’A.G., trovare una soluzione alternativa e, possibilmente, redditizia. Un bel B&B dove convogliare i selvaggi, dopo averli un poco addomesticati, e fargli posare l’obolo soddisfatti della caciara e della puzza di carne bruciata dei dirimpettai. Filiberto però poteva esclusivamente fornire la struttura, ripugnandogli l’idea di violare il suo antico rifugio con gli amanti della pizza e birra. Servivano dei soci fidati. Impresa difficile. Benedetta conosceva Filiberto da quando lei era una liceale e lui un giovane professionista appena laureato. Ormai era una giovane cinquantenne, in splendida forma. Alta, ma veramente troppo magra, versione più bella e aggraziata di una famosissima modella straniera strapagata e stradrogata, Benedetta incedeva dritta come una madonna e barcollante come un mercantile nella bufera sulle sue zeppe spropositate, oggetti pericolosi per la salute in caso di precipitazione. Mente brillante, pronta al sorriso alle battute a volte troppo sofisticate di Filiberto, negli oltre trent’anni di conoscenza si eclissava e diventava evasiva anche al telefono ogni qualvolta si fidanzava con qualche nuovo tomo, troppe volte per il modo di pensare di Filiberto. Comunque la trovava simpatica e intelligente, e questo la assolveva ai suoi occhi da qualsiasi colpa. Benedetta era una professoressa precaria amante dei cani e dei gatti, per i quali sacrificava gran parte del suo stipendio e del suo tempo, sobbarcandosi di compiti di pulizia che avrebbero rifiutato anche gli immigrati clandestini. Aveva anche lei desiderio di riscatto e di integrazione delle sue risorse economiche. Troppo pigra, come Filiberto del resto, per imbarcarsi in imprese che andassero oltre l’insegnamento, vedeva nell’associazionismo la possibilità di superare gli ostacoli. L’idea non era molto originale ma, per una strana congiuntura, appariva vincente: B&B, bed and breakfast, letto e colazione, detto all’italiana; affittacamere, si diceva invece nel passato, quando costituiva un piccolo aiuto per gente non abbiente, che metteva a disposizione una stanza o parte di essa per ospiti paganti. Ora sarebbe servita a riciclare onerose proprietà inutilizzate. Serviva comunque una terza persona, esperta del ramo, che si sobbarcasse la parte noiosa della nuova avventura, quella burocratico-amministrativa, lasciando ai due soci la sola incombenza di raccogliere denaro. Detto fatto, Benedetta si ricordò di Beatrice, una sua collega esperta di ospitalità alberghiera e desiderosa di occupare il tempo lasciatole libero dai figli ormai universitari e da un marito troppo impegnato con il lavoro e con il calcetto, quello sport praticato da quarantenni e cinquantenni così utile alle entrate degli ortopedici. Beatrice era una bionda di ritorno, dal fisico asciutto, che vestiva in maniera alquanto originale: pantaloni larghi a mezza gamba, camiciole e incredibili giubbotti di pelo che, una volta, usavano gli zampognari, per stare al caldo e tenere le braccia libere per suonare. Da Filiberto era stata soprannominata :”La pastorella”, creando un disappunto celato da ampi sorrisi in Benedetta, che si guardava bene dal farsi sfuggire l’espressione davanti a Beatrice. Dopo le prime valutazioni, rigorosamente telefoniche, espresse da Filiberto e Benedetta, dopo un breve incontro in uno di quei locali “trendy” dove si mangia pochissimo, tutto biologico e sano, come dei pezzetti di normalissima pizza al pomodoro, pure riscaldata, e si beve roba tipo succo di melograno, purissimo, spremuto da melograni conservati in frigo e mezzo inaciditi, fu presa la storica decisione. Serviva però un incontro a tre. Non fu facile organizzarlo, tra influenze, nausee e diarree dilaganti e alternate tra i tre futuri soci, ma si raggiunse un compromesso e la pizzeria “biologica” fuori mano fu finalmente raggiunta. Era molto tempo ormai che Filiberto era da solo, e quindi si preparava per qualsiasi tipo di incontro con il genere femminile, fosse anche di lavoro, come se dovesse andare alla conquista del mondo, curando in maniera inverosimile l’abbigliamento e profumandosi come se dovesse mascherare un odore di putrefazione. Benedetta, dal canto suo, era sempre bella ed elegante qualsiasi cosa indossasse, grazie alla postura corretta. Importante era che non camminasse, mostrando tutta l’incertezza dell’andatura su scarpe troppo alte per garantire l’incolumità femminile. Quella sera aveva un decolletè vertiginoso e mostrava un seno esuberante, straordinariamente protuberante per un fisico così magro. Tra Filiberto e Benedetta c’era una antica amicizia che mai era scivolata verso qualcosa di più, sebbene, a turno, l’avessero desiderato entrambi, senza che mai coincidessero i tempi. La pastorella, anch’essa con un fisico asciutto e longilineo, si presentò questa volta in un elegante tubino nero, con un cappottino rosso, del tutto inadeguati per la serata di lavoro, ma assolutamente adeguati a turbare Filiberto, in crisi sentimentale stabile. Finalmente i tre futuri soci erano seduti allo stesso tavolo e potevano studiare, pianificare, immaginare, il loro futuro di imprenditori di successo, di lì a pochi mesi ricchissimi ed impegnati prima a gestire la loro catena internazionale di B&B e poi a viaggiare per diletto in ogni angolo del mondo, servendosi rigorosamente di alberghi di lusso a sei stelle. La serata scorreva fluida, la birra, bevanda popolare, lasciava il posto al vino di pregio, e la pizza a piatti più raffinati e scarni, così da anticipare la ricchezza futura. L’ottimismo regnava sovrano, il sorriso di circostanza dell’inizio della serata aveva lasciato il posto a franche risate ed ammiccamenti, le mani si sfioravano sempre più spesso. Ci si poneva il dubbio di chi dovesse guidare al ritorno, ma gli obblighi di cavalleria non prevedevano variabili. Fu così che si ritrovarono stretti stretti nell’auto di Filiberto, che aveva ceduto il vecchio suv coreano per raggiunti limiti di età ed aveva acquistato una piccola fuoristrada giapponese, scomoda e durissima, ancora più vecchia della precedente auto. L’umore era alle stelle. Non poteva finire la serata così, sarebbe stata vita sprecata. Filiberto propose di raggiungere il proprio studio in città, un piccolo appartamento organizzato per visite mediche secondo tutti i requisiti e mai utilizzato. Era diventato altro, ed era organizzato all’insegna del cioccolato: vassoi ricolmi di gianduiotti erano sparsi su ogni supporto fisso, liquori al cioccolato erano nel frigo, accanto a grappa e vodka che accompagnavano molto gradevolmente il cioccolato. Tavolette di cioccolato nero fondente erano piazzate strategicamente sulla scrivania e sul tavolino accanto al divano. Cioccolatini al liquore stazionavano in agguato sui comodini. Quell’appartamento era una vera trappola al cioccolato. Il viaggio fu breve, e la temperatura all’interno del piccolo veicolo era bollente. Le contorsioni necessarie all’entrata avevano scoperto ancor di più il seno di Benedetta, mentre la salita sul sedile posteriore aveva mostrato a Filiberto la coscia di Beatrice integralmente, lasciando molto facilmente immaginare l’altra. Erano tutti e tre su di giri. Barcollando le due bionde sui loro tacchi, Filiberto fu costretto a sostenerle abbracciandole. Potè sentire con le sue mani grandi e forti i loro corpi sodi, e senza indugiare troppo, arrivò fino ai loro seni partendo dai fianchi. Benedetta lo guardò per una attimo con uno stupore contenuto; Beatrice sorrise guardando avanti. Arrivati davanti alla porta Filiberto tolse malvolentieri le mani dai loro corpi caldi per azionare la serratura. Mai era stato così veloce a girare le sette mandate necessarie. Furono dentro tra risate e battute. Benedetta e Beatrice si lasciarono cadere sul divano, testimone muto di nobili lati B, mentre Filiberto faceva partire contemporaneamente musica, riscaldamento e bar. Non c’era bisogno di altre parole: tra cioccolata, vodka e risate l’ambiente si scaldò molto di più che con i termosifoni. Filiberto si incuneò tra di loro e fu inebriato da visioni paradisiache, a sinistra il seno di Benedetta, a destra le gambe di Beatrice che si era messa comoda, molto comoda. Fu così che le mani di Fiiberto cominciarono ad accarezzare i visi delle socie onorarie, a blandirle blandito con parole carezzevoli, fino a che non fu silenzio di baci appassionati ora all’una ora l’altra, carezze ad entrambe, sibili di zip che scorrevano con difficoltà per le posizioni avvinghiate sul divano dei tre corpi. La decisione dei tre soci fu quindi unanime: si spostarono all’unisono a letto, in quel letto ad una piazza e mezzo che Filiberto aveva voluto per non far rimanere nessuna delle sue amiche a dormire se non per una notte. I corpi si alternarono nelle più acrobatiche posizioni, grazie anche alle pilloline colorate che Filiberto prudentemente aveva assunto all’inizio della serata, e tutto fu favoloso. Fu una notte speciale e al mattino si riunì il consiglio di amministrazione del B&B, Benedetta e Beatrice : “Oggi si va comprare il letto a tre piazze”.