Si potrebbe definire un autore “anomalo” Marino D’Isep, un operaio con la passione della lettura e della scrittura, capace di costruirsi uno stile personale di grande efficacia e di offrire al lettore un quadro variegato di tanti aspetti e personaggi della vita, dei loro sentimenti ed emozioni, preferendo i registri dell’ironia, dell’illusorio, del grottesco, dello straordinario, del fantastico con i quali riesce a penetrare a fondo nei recessi più sensibili e segreti dell’animo umano. Con i suoi venticinque racconti D’Isep ci propone una galleria di personaggi e situazioni straordinaria: dal pensionato che cerca il luogo più idoneo all’eterno riposo, al pregiudicato in libertà per buona condotta che organizza un piano criminale dall’esito non scontato, all’inventore squinternato ma non troppo, alla complessa e coinvolgente educazione sentimentale di un giovane di casa nostra, all’irresistibile fascino del proibito.
Primo capitoloIN FILA PER UNO
L’anziano colonnello si risvegliò di buonora al canto degli uccellini, nella camera la luce dell’alba filtrava attraverso gli scuri socchiusi della finestra fendendo l’artificiale oscurità.
Aspettò finché le spade di luce aumentarono d’intensità, poi si alzò dal letto e con passo incerto si infilò nel bagno, l’acqua fresca lo tonificò. Il colonnello, ora rivestito e, con sforzo, ben dritto sulla schiena, attraversò la stanza ed aprì la finestra, quindi spinse gli scuri cigolanti. Lo spettacolo della montagna che si stagliava al vicino orizzonte lo emozionava sempre, egli ne conosceva tutti i segreti: l’aveva esplorata in lungo e in largo percorrendo ogni declivio, tracciandone i sentieri e catalogando fiori ed animali che su di essa aveva incontrato. Richiuse i vetri e si girò osservando il vuoto della camera. “Adunata!” disse con tono deciso alzando il volume della voce. In un batter d’occhio l’ordine fu eseguito e nella stanza si materializzò il piccolo esercito del colonnello. Decine di uomini allineati in riga, alcuni assolutamente identici tra di loro, stavano sull’attenti con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso in avanti, pronti a muovere agli ordini del loro comandante. Il vecchio colonnello osservò l’allineamento dei soldati, calzò il
cappello d’ordinanza ed iniziò la rassegna mattutina, guardandoli negli occhi uno per uno. I primi erano degli inermi fagotti con grandi occhi e pelucchi sulla testa, un paio dormivano ancora ed uno teneva le mani in bocca, la saliva gli bagnava le vesti. Quelli dopo stavano in piedi ma erano bassi di statura, e non reggevano il suo sguardo, per farli parlare, poi, doveva sudare ogni volta sette camicie. Appresso stavano dei soldati dagli occhi vispi, un po’più alti e con i capelli sempre scompigliati, dalle loro tasche spuntavano delle fionde ed avevano le ginocchia sbucciate di fresco. Subito dopo c’erano dei giovinetti che, per la riga tra i capelli ed i vestiti che indossavano, sembravano gemelli, e tenevano sottobraccio un pacchetto di libri legato con l’elastico. C’era poi uno dei suoi preferiti: un giovanotto bello, alto, marziale nella sua divisa da soldato, pronto a scattare come un felino ad ogni suo ordine. Seguivano una serie di giovani piuttosto simili tra di loro, ma che si differenziavano per una serie di particolari: il primo aveva una
capigliatura a spazzola e un paio di baffetti, il secondo la riga tra i capelli ed una leggera barba, il terzo era impomatato e vestiva un impeccabile abito scuro con camicia bianca e scarpe di vernice, tra i denti una rosa rossa. Poi sfilò degli altri giovanotti simili a quelli precedenti, finché arrivò al suo uomo più elegante. L’abito gessato da cerimonia, di certo confezionato su misura, gli cadeva a pennello fino alle lucidissime scarpe nere, la cravatta floreale campeggiava sulla camicia azzurra e la chioma tirata all’indietro metteva in evidenza la sua fronte alta, una montatura di metallo gli contornava gli occhi ed il suo viso lasciava trasparire una certa emozione. Fu poi la volta di una serie di uomini dall’aria matura e responsabile, sobriamente vestiti e con lo sguardo fisso all’orizzonte, a mete lontane ed ambiziose. Più in avanti passò in rassegna degli individui brizzolati: sui loro capelli, mano a mano che avanzava, il colore grigio lasciava spazio al bianco, ed i loro visi erano vieppiù segnati dal tempo; sempre fiero il loro portamento. Oramai la rassegna mattutina si avviava a finire, e gli ultimi uomini che il colonnello guardò sembravano piuttosto in disarmo. Erano tutti un po’ ricurvi e con pochi capelli bianchi, i loro occhi erano gialli e stanchi; gli ultimi della riga si sostenevano sull’attenti con un nodoso bastone, qualcuno tossicchiava. “Accidenti”, sospirò il vecchio colonnello. “Questi ultimi sono conciati maluccio, però è quello che passa il convento, non posso farci nulla.” Osservò l’allineamento dei suoi uomini e poi diede l’ordine: “Fiancooo sinist!” Poi parlò: “Quelli più abili aiutino i compagni in difficoltà, non lasciate indietro nessuno! È un ordine! Ora scendiamo per la colazione!... Tutti in fila per uno!”
L’uomo aprì la porta della sua camera, percorse il lungo corridoio appoggiandosi al bastone e scese lentamente le scale. Nel salone alcuni mattinieri ospiti erano intenti a sorseggiare le calde bevande assistiti da giovani donne con il grembiule. “Buongiorno colonnello”, gli dicevano ora l’uno ora l’altra, “Si siede con noi stamattina?” “Non posso”, diceva lui sorridendo, “Non ci stiamo tutti e ottantacinque al tavolo.” Si sedette da solo e chiese del caffè all’inserviente. Nell’attesa considerò, ancora una volta, che tenere uniti a sè tutti i suoi soldati era la soluzione migliore. “Chissà che bailamme scatenerebbero, che confusione. Quelli più piccoli bisognerebbe accudirli, quelli con la fionda farebbero danni,
e quelli aitanti adocchierebbero subito le assistenti più giovani; quelli di mezzo magari giocherebbero a carte vociando ed i più anziani darebbero un gran lavoro con i pannoloni.
No no, meglio non lasciarli andare, altrimenti quella che oggi si chiama “Villa Delizia” diventerebbe “Villa Confusione”... no no.”