Un continente misterioso e affascinante: l’Africa! Paesaggi mozzafiato, colori sfavillanti, profumi d’equatore; ambienti tempestati da gravi emergenze sanitarie e lacerati da mille contraddizioni; personaggi visionari che agiscono motivati da ragioni umanitarie e dall’instancabile ricerca di sé.Tutto questo e svariati altri temi contribuiscono a comporre una trama originale e vibrante di passioni, in un bel romanzo dal linguaggio ricco e leggiadro che travalica i confini letterari.
Primo capitolo“Fara, ti devo parlare!” È una mattina come tante, almeno così sembrava, invece è successo qualcosa che mi ha scosso profondamente e che corro a raccontare a Fara. Fara ed io ci vediamo tutte le mattine al termine del giro dei pazienti. Ci piace stare insieme e raccontarcela un po’. Io penso di provare qualcosa per lei, non sono affatto sicuro che lei possa provare un qualche sentimento nei miei confronti. In ogni caso, appena possiamo ci cerchiamo e questo per ora mi basta. Fara è preoccupata, non mi ha mai visto così agitato. “Ciao Luciano. Ma cosa è successo?” “Stamattina sono arrivato in reparto. C’era molta agitazione. Caposala, infermieri e Muenda parlavano concitati. È morta una paziente. Ma non è questo il punto, quanto il modo in cui è morta. La paziente è morta di fame! Capisci, è morta di fame nel mio reparto e nessuno mi ha mai messo al corrente che nel mio reparto - e sottolineo “mio” - era ricoverata una paziente che stava morendo di fame! Andavo tutti i giorni al suo letto, la vedevo dimagrire giorno per giorno, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dirmi che la mia paziente non aveva da mangiare mentre io la curavo per la tubercolosi!” Le mie parole sono veloci e concitate. Fara mi fa segno di allontanarci. Cominciamo a camminare verso l’uscita dell’ospedale. “Come hai reagito?” nella speranza che io non mi sia fatto travolgere dagli eventi. “Mi sono incazzato e ho perso il controllo. Ho urlato a Muenda e alla caposala che dovevo essere avvertito che una mia paziente non aveva da mangiare e che avremmo deciso insieme che cosa fare.” “E loro, cosa hanno detto?” mi chiede sempre più preoccupata. “Muenda ha cercato di calmarmi mentre la caposala mi ha girato le spalle e se ne è andata via offesa. Ma offesa di cosa? Nel mio reparto è morta di fame una paziente che curavo per una banale tubercolosi! Capisci?” I miei gesti e parole sono veloci e fuori controllo. Fara rimane alcuni secondi in silenzio, mentre cresce la mia impazienza di sentire le sue parole. “Come mai è morta di fame? Non aveva nessun familiare che le preparasse qualcosa da mangiare?” mi chiede. “Non lo so” - rispondo come se la sua domanda avesse meno importanza di quello che è successo - “cambia qualcosa?” le rispondo in tono di sfida. “Sì!” Fara non è per nulla intimidita dalle mie reazioni scomposte. “Sì e sarebbe dovuta essere la prima cosa che dovevi chiedere. Purtroppo qualche volta succede nei nostri ospedali. E qui non c’è niente di banale, nemmeno curare una tubercolosi! Ora però non ho più tempo e debbo tornare nel mio reparto perché ho un bambino in insufficienza respiratoria. Vieni da me a cena questa sera che continuiamo a parlarne. Ti devo spiegare alcune cose perché tu possa capire”. “Ma dove abiti?” chiedo. “Chiedi a Muenda, lui lo sa, così approfitti per chiedergli scusa e parlare con lui. Con la caposala ci vorrà un po’ più di tempo per recuperare! Ciao e… a dopo.” Fara non mi ha per niente rassicurato, ma l’inaspettato invito a cena mi fa sentire più leggero e meno arrabbiato. Corro a cercare Muenda, come mi ha suggerito Fara.