Il piccolo spostamento nel futuro che l'autore opera in Orizzonti del buio accampa un tempo che assomiglia tanto a questo nostro tempo da esserlo a tutti gli effetti, ma come guardato di là da una lente che allontana, affumicata, appannata dall'angoscia della testimonianza partecipe, comunque inesorabile nel mostrare criticamente un mondo in sfacelo.
Il 'fuori', in Deambulatorio, per squarci della tessitura sociale, dei rapporti interpersonali, della ricerca senza scopo e scampo che porta i quasi anonimi protagonisti in bar di stazioni, mense, parchi cittadini, cantieri, fermate d'autobus: luoghi di incontro che sono diventati non-luoghi di assenza, incomunicabilità e solitudine disperata.
Il 'dentro', in Palazzo: non tanto luogo fisico della reclusione, quanto luogo-incarnazione dell'interiorità malata, in dissoluzione come e peggio del mondo-fuori: reclusi e reclusori.
Lievissime le tracce di relazione che ancora congiungono il 'dentro' e il 'fuori', perché, appunto, se è in sfacelo il mondo, lo è ancor più la memoria, fuori e dentro, dell'esserne stati parte. Eppure qualcosa nel vuoto, nel caos, si aggrappa ad un appiglio più fragile di un sogno, anzi forse proprio ad un'allucinazione, che comunque non ci è dato di decifrare con chiarezza. Ma è qualcosa. Fa diga.
(Milena Nicolini)