Accogliere un bambino bielorusso orfano o orfano sociale è sempre un incontro tra diversi punti di vista e un viaggio: nel tempo, nello spazio e dentro di noi alla ricerca di risorse sopite che possono trasformare il dolore e l’abbandono e risanare l’anima.
È un’esperienza che trasforma e costringe ad un percorso di elaborazione che è insieme consapevolezza dei cambiamenti; consegna reciproca di memoria storica, e di identità individuale, culturale, sociale; costruzione di dinamiche e reti complesse di sostegno alla persona che diventano vere e proprie “parentele sociali”.
Questa “diplomazia dell’amore” richiede empatia, fiducia, coraggio, speranza e, forse, anche una buona dose di incoscienza.
E mi chiedo: in questa relazione di aiuto diversa dall’affido e dall’adozione e che risponde a tre bisogni inalienabili dell’essere umano: diritto ad una famiglia, diritto ad un’infanzia felice, diritto alla salute, chi dà e chi riceve di più?
Chi salva e chi è salvato?
E soprattutto: se non ci fossimo mai incontrati, quello che oggi è sarebbe comunque stato?
Ravenna –Belarus
Le famiglie socie dell’Associazione accolgono per un periodo estivo e uno invernale minori provenienti da orfanotrofi bielorussi di età compresa tra i 7-17 anni. Lo stesso bambino è sempre accolto dalla stessa famiglia che continuerà ad ospitarlo, con invito privato, anche quando diventerà maggiorenne, si sposerà, avrà figli e li farà sentire nonni, zii, cugini. Nell’immaginario collettivo accogliere un bimbo in difficoltà è di per sé considerata una buona azione, ma non basta il dono dell’ospitalità, della solidarietà e dell’affetto.
A nostro parere, vanno aggiunte: le buone prassi per dare coerenza all’agire e ottimizzare gli interventi qui e in loco; l’apertura mentale per mutare i punti di vista e riconoscere a questi ragazzi in difficoltà il diritto alle pari opportunità senza farli mai sentire “soggetti in prova”.
Durante i soggiorni a Ravenna offriamo non solo amore e vacanze, ma anche formazione, orientamento lavoro, laboratori, corsi, stage in quanto strumenti per praticare libere scelte nella vita. Oggi tutto è in divenire e anche l'accoglienza si è trasformata. Guarda oltre l’emergenza e il risanamento sanitario, che pure resta. Oltre i confini culturali, fisici, geografici, fuori dall’isolamento emotivo in cui tendiamo a rinchiuderci per paura, per indifferenza e per tranquillità. Necessariamente va oltre per costruire un futuro possibile dove anche le emozioni, le relazioni affettive implicite in questa esperienza non sono un limite, un confine, ma un dono, un catalizzatore delle capacità individuali che rende uguali e liberi cittadini del mondo.
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Primo capitoloPREFAZIONE
di Giuliano Poletti
Questa pubblicazione rappresenta la testimonianza preziosa dell’esperienza di tante famiglie che, grazie all’attività dell’Associazione Ravenna-Belarus, hanno ospitato minori provenienti da istituti e da famiglie disagiate della Bielorussia. È una storia che ha inizio con la catastrofe nucleare di Chernobyl, avvenuta trenta anni fa, che causò (e purtroppo continua a farlo) conseguenze terribili per gli abitanti di quell’area, in particolare i bambini e i ragazzi. Tra le regioni più colpite dalle radiazioni, che dopo il disastro si diffusero rapidamente verso nord, la vicina Bielorussia. Da quel momento ha preso avvio una spinta di solidarietà, tuttora viva, che ha visto protagonisti enti, associazioni e famiglie italiane che, nel corso degli anni, hanno accolto migliaia di minori coinvolti dalla contaminazione nucleare per offrire loro periodi di soggiorno a scopo terapeutico.
È un’esperienza che in queste pagine rivive con le parole dei protagonisti, di chi ha accolto e di chi è stato accolto. Le testimonianze dirette danno voce ad un mosaico variegato di sentimenti, di emozioni, di slanci, di preoccupazioni, di sguardi, di gesti; gli elementi costitutivi di un codice di comunicazione e di condivisione profonda, più forte delle differenze di età, di cultura, di appartenenza. “Lui non parlava, non sapeva una parola di italiano, io non sapevo una parola di bielorusso, però ci siamo capiti immediatamente. Lui con la gestualità, io con gli occhi”, dice Adelaide ricordando il primo incontro con Anatoli.
Qui si racconta, con accenti spesso toccanti, un percorso che dall’attesa e dal primo contatto evolve nello stabilirsi di una relazione, di uno scambio e di un arricchimento reciproco. Anche con momenti di difficoltà, perché non va dimenticato che questi bambini e ragazzi sono portatori di un vissuto complicato, difficile se non drammatico. Ma proprio per questo capaci anche di slanci sinceri e di legami forti. Legami che, tra chi accoglie e chi viene accolto, restano vivi negli anni nonostante le distanze e si nutrono di affetto.
Anch’io ho avuto la fortuna di fare questa esperienza, ospitando per anni due bambini (ora sono uomini!) dalla Bielorussia. Posso dire, per quanto mi riguarda, che si riceve più di quanto si dà. Ma non credo di sbagliare se dico che la pensano così anche le migliaia di persone che, nel corso degli ultimi venti anni, hanno accolto temporaneamente in Italia più di 500mila bambini e ragazzi, provenienti soprattutto dai paesi dell’Europa dell’Est e, in larghissima parte, da Bielorussia e Ucraina. È un percorso che continua, come ci dicono anche i dati relativi al 2015, grazie all’impegno, alla generosità, alla passione di chi opera in tanti enti e associazioni e di tantissime famiglie. A tutti loro, che sono una testimonianza viva dell’Italia migliore, va il nostro grazie insieme alla disponibilità a trasmettere alle amministrazioni competenti le loro istanze per dare soluzione ai problemi che talvolta incontrano e per migliorare ancora un impegno di solidarietà che arricchisce tutto il nostro paese.
Giuliano Poletti
Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali