Requiem per la mia ombra è scritto 'per coloro che non sanno / far quadrare il bilancio / dei sogni' e non reggono i suffumigi di esalazioni tossiche, ai falsi dèi di cerone incrostati.
Le storie della gente 'nel nullatenente trascinando' all'ombra della Ghirlandina 'assurdamente illuminata' hanno aperture teatrali, quinte esterne-interne e sul palcoscenico passa 'lallando' la molto amata nipotina Sara, che rincorre il gatto e la gitana di 'Piazza Grande nella notte degli Zingari' che 'balla e fuma / la gitana / sul palco allattando / danzando il bambino'.
La parola di Maria Chiara fluisce come un sogno cui presiede un dio, un dio oscuro che in segreto ha disegnato la geometria di un giardino tripartito: 'crepuscoli', 'vacanza' e 'addio alla mia ombra', tre aiuole le cui sponde, in cui è trattenuto il dire che si dice, riguardano una donna 'nel pieno di un'età sprezzante' trainata da opposti destrieri, che si difende persino da se stessa 'celebrando una/ messa di riti propizi/ contro un/ io malandato nudo/ disteso sul prato'.
Un luogo di siderazione, di cui non si può e non si deve parlare, ma solo restare in ascolto. (Mariangela Della Valle)