Come usare correttamente l'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena in cucina.
In poche persone sanno usare correttamente l'ABTM. Ad esempio lo sapevate che non va mai scaldato? Più di cento ricette, la storia, le leggende....
Contiene il racconto vincitore dell'edizione 2007 di Degustibus Letteratura gustosa
Definizione ufficiale dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (d’ora in poi A.B.T.M.)
Ottenuto da mosto d’uva cotto, maturato per lenta acetificazione, derivata da naturale fermentazione e progressiva concentrazione, mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli (botticelle) di legni diversi senza alcuna addizione di sostanze aromatiche.
Di colore bruno scuro carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta, scorrevole, sciropposità.
Ha profumo caratteristico e complesso, penetrante, di evidente ma gradevole ed armonica acidità.
Di tradizionale ed inimitabile sapore, dolce ed agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri.
Aceto Balsamico, tra storia e quotidiano
La pianta della vite è di origine antichissima ed altrettanto antichi sono il vino e l’aceto che ne derivano. Produrre aceto è cosa assai facile, difficile è farlo bene perché, per conseguire un prodotto eccellente, non devono mancare uve di ottima qualità, conoscenze tecniche specifiche, ambienti appropriati, idonei contenitori e, non ultimo, il fattore umano, per seguirlo con cure attente e costanti.
Non solo il vino, anche l’aceto può migliorare le proprie qualità con l’invecchiamento ed è il caso, esclusivo, dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Originato dal mosto d’uva cotto a fuoco diretto, fonde, per naturale invecchiamento in secolari botticelle di legno, l’agro ed il dolce in una perfetta armonia di contrasti che lo rendono unico, inimitabile, irripetibile. Sua naturale dimora è l’acetaia, neologismo sconosciuto al glossario italiano, ma non ai modenesi, gelosi custodi di questa antica tradizione, complessa ed affascinante, resa ancor più suggestiva dalla presenza delle piccole botti immerse nella silenziosa penombra e dagli utensili, vecchi di secoli, appesi alle pareti in un’ordinata mescolanza.
Le origini
Già nel IV e III millennio a.C., nel vicino Oriente, produrre mosti ed aceti era una pratica comune. Sono comunque del periodo greco-romano le testimonianze più certe pervenute da autorevoli autori quali Ruffo d’Efeso, Marco Gavio Apicio e dall’autore dei dodici libri del De re rustica, Lucio Giunio Moderato Columella, vissuto nel I sec. d.C.
La traccia più ampia resta comunque quella dello storico Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) che, nel suo Secundi Naturalis Historiae, elogia questa acida sostanza, indispensabile condimento per la cucina, per conservare frutti e legumi, come dissetante e per il suo impiego essenziale in farmacopea. Le citazioni di Plinio sulla Luna racchiudono tutta la saggezza popolare che riconosceva, nell’astro celeste, una funzione regolatrice dei cicli vegetali per cui, le attività dell’acetaia, vanno compiute a Luna calante, quando la Luna è buona. Nozioni elementari dettate dall’uso quotidiano, indispensabili per soddisfare l’alimentazione consumata dalle imponenti legioni romane durante le lunghe marce a base di posca, potus et esca, composto di carni e verdure sminuzzate lasciate macerare a lungo nell’aceto ed aceto miscelato ad acqua, oxycrat o acetoso, era la bevanda collettiva per soldati di poche pretese.
Queste tradizioni alimentari seguivano una logica razionale, improntata alle più elementari norme igienico-alimentari per evitare infezioni ed epidemie dovute alla stretta convivenza, per lungo tempo, di migliaia di legionari. La bollitura del mosto d’uva, con riduzione del suo volume iniziale, era comunque una pratica ricorrente nel mondo arcaico per i molteplici usi cui veniva destinato, ma non tutti gli autori latini concordavano sul rapporto di calo o concentrazione del liquido. Columella e Varrone indicano come sapa il mosto cotto ridotto ad una metà del suo volume iniziale mentre Plinio vuole che il quantitativo evaporato sia di due terzi, per il defrutum, i valori riportati dagli stessi autori sono capovolti. Da non dimenticare il carenum, anch’esso mosto cotto ridotto a due terzi.
In cucina
Tralasciando l’oscuro Medioevo, d’un tratto, ci troviamo nel Rinascimento dove i piaceri della tavola erano rallegrati da specialità gastronomiche di grande rilievo storico. Guide preziose per capire quali fossero i reali gusti del tempo sono le opere di chi, in prima persona, ha operato nelle cucine delle grandi corti rinascimentali. Tre sono i testi fondamentali di quell’arte culinaria, una sorta di trilogia composta dal Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivanda secondo la diversità dei tempi, così di carne come di pesce pubblicato a Ferrara nel 1549 da Cristoforo di Essi detto lo Sbugo, meglio conosciuto come Cristoforo Messisbugo, scalco della corte estense di Ferrara, La singolare dottrina di Domenico Romoli detto Panùnto, pubblicata nel 1560 ed infine Opera dell’arte di cucinare di Bartolomeo Scappi, edita a Venezia nel 1570.
Questi trattati sono ritenuti la summa enciclopedica del sapere gastronomico cinquecentesco dove lo scalco, gran cerimoniere, coadiuvato da cuochi, credenzieri, spenditori, bottiglieri, trincianti e paggi, gestiva tutto l’allestimento nelle forme più spettacolari per magnificare la grandezza del suo Signore.
Condimento essenziale della cucina rinascimentale era l’aceto, la cui componente agra esaltava il sapore dei cibi, favoriva la digestione per il modesto contenuto calorico ed aiutava l’organismo ad eliminare i grassi ed i carboidrati. Nella Singolare Dottrina, il fiorentino Domenico Romoli al libro XII, cap CLVI, “Dello aceto e sue proprietà”, ne descrive i requisiti terapeutici : “... l’aceto in medicina ha virtù mordificativa dissolutiva, penetrativa, infrigidativa, e desiccativa, e però vale contra molte passioni, che corrodono la carne nelle ulcerazioni, e à molte altre cose, schiara la vista degli occhi, stringe il sangue. È l’aceto di gagliarda desiccazione assotiglia, e taglia e giova alla digestione, conferisce à colerici e nuoce a melanconici, è nocivo ai nervi e aiuta a digerire, vero è che il continuarlo molto conduce talhora l’huomo alla Ridropisia.Tenendosi in bocca lieva il singhiozzo, se lo stomaco è ripieno lo aiuta molto a diggerire e se lo trova vacuo gli impedisce la digestione del cibo da venire. Bevuto caldo restringe i denti che su muovono, è buono il gargarismo che si fa con esso, son buone, danno appetito, e rinfresca il fegato. Fricando con esso i polsi mitiga il caldo, e mitiga l’ardore della febbre terzana. Bevuto ammazza i vermi. È buono di lavarsi con esso il capo a ciò non cadono i capegli, e è utile contro la tigna. Fa l’aceto a chi molto l’usa invecchiar presto...”.
Bartolomeo Scappi, “cuoco secreto” di Papa Pio IV e Papa Pio V, attivo a Milano, Venezia, Ravenna ed a Roma, nell Opera dell’arte di cucinare, afferma che per ben operare in cucina, non devono mancare “fiaschi di stagno per portare aceto, mosto cotto ed agresto”.
Da quando “Balsamico”?
Alla metà del XVI secolo l’aceto del Duca di Modena Francesco III (1737-1780) diventò Balsamico. L’accostamento di questo aggettivo al sostantivo aceto risale infatti al 1747 quando, al momento dei rincalzi primaverili, viene documentato all’ottava pagina del Registro delle Vendemmie e vendite dei vini per conto delle due Cantine Segrete del Palazzo Ducale di Modena con la seguente dicitura “Levato dalla Cantina Segreta su ordine di Antonio Lancellotti e trasportato nell’accetto alla Camera verso il Prato vino bianco, mastelli... e più per rincalzare l’accetto balsamico mastelli 1”.
Il 20 luglio dello stesso anno, nella cantina ducale di Sassuolo una nota cita: “ Mi sono poi portato alla visita dell’aceto, ove vi ho ritrovato vascellini piccoli e due altri più grandi con metà d’aceto entro, però tutta da Padrone, tra le quali ve n’è uno con aceto balsamico, ma pocco, sarebbe però necessario alla ventura vendemmia darle provvidenze ad effetto si accomodassero”, a conferma di una terminologia ormai ampiamente diffusa e consolidata.
Avendo acquisito il crisma dell’ufficialità, d’ora in poi si avrà una corretta classificazione venendo identificato in semibalsamico, balsamico, balsamico fino e balsamico sopraffino. Il ritrovamento di queste attestazioni lo si deve all’appassionata ricerca dell’Avv. Giuseppe Polacci, grande conoscitore del costume e delle tradizioni popolari modenesi le cui ricerche sono confluite in due opere che hanno congiunto, inscindibilmente, la figura dell’autore alla storia dell’aceto balsamico e dei verdi vetri soffiati, prodotti tipici del ducato estense. L’aceto balsamico modenese, pubblicato a Spilamberto nel 1970, è stato il primo ed il più completo trattato riguardante la storia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Ricco di testimonianze inedite ha contribuito alla riscoperta ed alla divulgazione dell’antico prodotto, lasciandone intravvedere, sin d’allora, tutte le future potenzialità. L’Arte Estense del vetro e del Cristallo sec. XIV e XIX, è stato dato alle stampe postumo nel 1988 grazie all’opera della Prof.ssa Elena Ferrari Giusti che ha completato l’opera abbozzata dal Polacci.
“Balsamico”: perché?
Parallela alla storia culinaria dell’aceto, corre quella medicamentosa. Per secoli l’unico rimedio con proprietà antisettiche, oggi ampiamente dimostrate dalla ricerca scientifica, era l’aceto, elemento fondamentale anche in profumeria igienica, il cosiddetto aceto da toeletta, per non dimenticare le facoltà miracolose manifestate quando faceva riprendere subito conoscenza alle dame dai troppo facili svenimenti. Negli anni in cui estese epidemie mietevano vittime a non finire ed i seguaci di Ippocrate (460-377 a.C.) non avevano né cognizioni scientifiche né strumenti opportuni per porvi rimedio, gli effetti benefici derivanti dai profumi erano tenuti in grande considerazione attribuendovi speciali virtù terapeutiche e questi presidi erano conosciuti come balsami o balsamici.
L.A. Muratori, nel trattato “Del Governo della Peste e delle maniere di guardarsene”, magnifica le qualità terapeutiche dell’aceto, usato in purezza o miscelato ad altre essenze per lenire l’ammorbamento dell’aria e procurarsi un temporaneo giovamento, verificato anche in occasione delle epidemie del 1630 e del 1720.
L’acetaia ducale
La storia dell’Aceto Balsamico non è privo di traversie, anzi, lo storico Antonio Rovatti (1763-1818) nelle sue Cronache modenesi annotava che l’8 Nevoso (28 Dicembre) 1796 (anno V della Repubblica Francese): “Comincia la vendita col mezzo d’Incanto e per conto della Repubblica Francese dell’aceto balsamico dell’ex Duca, custodito entro 36 barille di un quarto per cadauna, nel terzo Torrione del Palazzo ex Ducale verso S. Domenico”. Era questo il primo, ma non certo l’ultimo saccheggio, perpetrato ai danni dell’acetaia ducale lasciata da Ercole III (Modena 1728-1803) alla mercé delle truppe napoleoniche.
Scarne sono le notizie di carattere storico, ma è ipotizzabile che i preziosi vaselli, e l’ancor più pregiato contenuto, siano stati acquisiti da famiglie nobiliari o di maggior censo della città e non dispersi come sarebbe avvenuto il 1 Agosto 1862, con la requisizione sabauda. Sarebbero trascorsi ancora parecchi anni, prima di vedere Francesco IV d’Asburgo-Este (Milano 1779- Modena 1846) entrare in Modena il 15 luglio 1814 scortato dagli Ussari del reggimento austriaco Radestki.
Con il ritorno del Duca, il terzo torrione del palazzo, storica dimora dell’acetaia, aveva ripreso la sua funzione e già tra il gennaio e l’ottobre del 1815, dal Giornale dei Diversi generi consunti alla Tavola delle LL.AA.RR. e Camera, statigli somministrati dalla Reale Dispensa, si rileva l’avvenuto prelievo di aceti fini. A margine invece della voce Balsamico sono annotate soltanto due monogrammi, N.N., laconici, ma significativi, per mettere in luce quale fosse il reale stato delle batterie.
Per ritrovare la presenza del Balsamico nella Reale Cantina, magazzino degli aceti, si dovrà attendere il 26 Aprile 1834 al momento di redigere l’inventario per il passaggio delle consegne a Federico Palmieri, il nuovo cantiniere successore del defunto Michele Vogl. Per il Balsamico di quei tempi, una ventina d’anni appaiono del tutto insufficienti per conseguire un prodotto qualificato per cui è ipotizzabile il ritorno in acetaia di qualche barile trafugato, di qualche batteria preventivamente occultata ed il recupero di aceti provenienti dalle cantine ducali di Scandiano, Sassuolo, Reggio Emilia e Rubiera o ancora, ipotesi plausibile, da regalie dei sudditi.
Non sarebbe dovuto trascorrere molto tempo per accertare le reali condizioni dell’acetaia ducale trovandone riscontro nell’inventario del 24 Agosto 1860, stilato cinque mesi dopo l’11 marzo 1860, data del plebiscito, che avrebbe sancito l’annessione di Modena al Piemonte. Le note riportate permettono di quantificare con esattezza l’effettiva consistenza di aceto balsamico.
Deposito degli aceti nelle “soffitte a tetto” Magazzeno II - Aceti fini
- 4 fustelli di legno gelso e rovere cerchiati con quattro cerchi di ferro cadauno ripieni di aceto balsamico soprafino della misura massima di Boccali Modenesi n. 94, pari a litri 106
- 8 fusti di legno come sopra, cerchiati con quattro cerchi di ferro ripieni di aceto semibalsamico, della misura di Boccali Modenesi 26 e 1/2, pari a litri 30
- 29 fusti di rovere e gelso cerchiati di quattro cerchi di ferro cadauno, ad eccezione di undici piccoli che sono cerchiati in legno di diversa capienza, ripieni di aceto fino della complessiva misura di Boccali M. 2253 e 1/2, pari a litri 2.550
- 34 cavalletti in rovere di varia forma e misura
Tutti questi fusti e fustelli, ed i 34 cavalletti, presero la via del Piemonte come conferma la nota a margine: “I fusti spediti al Reale Castello di Moncalieri d’ordine del Ministro il 1 Agosto 1862”. Triste ed ingloriosa fine, quale vile bottino di guerra, per la più nobile delle acetaie e per il suo Balsamico. Si andava così disperdendo con la violenza il forte legame dell’aceto balsamico con la Corte Estense, giunta a Modena nel lontano 1598.
L’Ottocento
L’Ottocento è stato un secolo di profonde trasformazioni agrarie, valorizzate in molteplici esposizioni a carattere nazionale, dove venivano presentate le nuove tecnologie e messi in mostra i prodotti locali di maggior prestigio. In occasione di queste presentazioni non mancavano mai campioni di aceto balsamico, la cui longevità era sapientemente messa in risalto per solleticare l’attenzione dei visitatori e, dagli atti ufficiali, si è appreso che aceti balsamici ultracentenari erano presenti nelle esposizioni di Modena, Vignola, Firenze, Bologna dove, nel 1888, si aggiudica la medaglia di bronzo.
Al primo Congresso dell’Associazione Agraria Italiana, tenutosi a Modena nel 1863, venne presentato dalla famiglia Carandini un aceto balsamico della veneranda età di 360 anni.
L’Esposizione Agricola ed Industriale di Vignola del 20 ottobre 1872, era stata organizzata per celebrare il secondo centenario della nascita di L. A. Muratori, lo studioso vignolese fondatore della storiografia moderna. All’evento, nobilitato dalla presenza del poeta Giosuè Carducci, vennero esposti aceti ultracentenari di 101 e 175 anni, presentati dalla famiglia Tosi-Bellucci, la più influente del paese, ma di questa secolare acetaia non resta alcuna traccia.
All’Esposizione italiana svoltasi a Firenze nel 1861, due produttori modenesi, la sig.ra Ferrari ved. Roncaglia ed il sig. Corradini, presentarono campioni di 300 e 350 anni definiti di “età documentata” dal professor Fausto Sestini, componente la commissione giudicatrice. La veneranda età e la squisitezza del prodotto devono aver solleticato la curiosità dello scienziato tanto da indurlo ad intraprendere una specifica ricerca riguardante la composizione chimica dell’aceto balsamico modenese, la prima in assoluto a livello scientifico.
Dopo secoli di produzione dettata dalla tradizione, le ricerche operate nel 1863 dal prof. Fausto Alessandro Sestini (Campi Bisenzio (FI) 14/04/1839 - Pisa 19/08/1904), hanno sollevato i primi veli sul mistero della composizione chimica, fisica e biologica dell’aceto balsamico. Un evento dovuto all’intuizione di questo geniale studioso, docente di Chimica Agraria dell’Università di Pisa, il quale, alla vista di cinque campioni di aceto presenti all’Esposizione Italiana di Firenze del 1861, trovò lo stimolo per avviare il fondamentale studio che avrebbe poi mantenuto il Balsamico al centro delle proprie attività di ricerca.
Nel 1867, seguì la pubblicazione Sopra gli Aceti Balsamici del Modenese in cui, per la prima volta, rilevava la presenza di sostanze uniche, da cui traeva origine la caratteristica pigmentazione scura del prodotto. Nello stesso anno veniva interpretato il processo ossidativo dell’alcool prodotto dal vino, per renderlo aceto, ad opera di un fungo unicellulare, il Mycoderma Aceti.
Anche uno scienziato come Luigi Pasteur (Dôle 1822 - Garches 1895) si interessò di questi fenomeni ed il suo studio riguardante la fermentazione alcoolica degli zuccheri e la biossidazione acetica dell’etanolo, venne pubblicata nel volume Mémoire sur la fermentation acétique.
Del 1928 sono gli studi del siciliano Ernesto Parisi (Naso 14/03/1891- Milano 26/12/1944), cui si deve il merito di aver individuato la vasta banda entro cui oscillava il valore degli zuccheri e dell’acidità totale che differenziano le diverse qualità organolettiche dei singoli campioni. Le ricerche del Parisi proseguirono unitamente a Bruini e Sacchetti e l’esito di questa collaborazione venne dato alle stampe, con il titolo Sulla fermentazione alcoolica dei mosti concentrati cui seguirono le Ricerche sulla fermentazione di un mosto d’uva concentrato del 1932, ad opera del solo Mario Sacchetti, (Bologna 16 ottobre 1898-27 marzo 1974) Ordinario di microbiologia agraria all’Università di Bologna.
Cogliere quanto di meglio offre la moderna tecnologia, uniformandolo ai canoni della tradizione, si è rivelata una strategia vincente per trasformare l’oxologo, esperto d’aceto, in un perfetto analista capace di trarsi d’impaccio tra burette e reagenti, di saper distinguere i vari mosti e valutare la consistenza del proprio prodotto per fare rincalzi mirati.
Il secondo Novecento: il “Balsamico” rinasce a nuova vita
Determinante per la riscoperta dello storico aceto modenese è stata la geniale intuizione avuta dal compianto Rolando Simonini di far competere tra loro i campioni di aceto balsamico prelevati dalle poche acetaie ancora presenti sul territorio. L’avventura, rivelatasi poi esaltante, prese l’avvio forse più con spirito goliardico che per reale convinzione, ma con l’intimo convincimento di sottrarre quel prezioso patrimonio comune dall’ingiustificato oblio in cui era stato relegato da funesti eventi bellici, dalle mutate condizioni socio-economiche e dalle imponderabili limitazioni ambientali venutesi a creare nel dopoguerra.
Erano gli anni del timido rifiorire d’antiche feste popolari da tempo accantonate e l’occasione per dare visibilità a questa stravagante trovata fu il 24 giugno in occasione della festa di San Giovanni Battista, Patrono di Spilamberto. Così, nel lontano 1967, venne tenuta a battesimo la Consorteria dell’Aceto Balsamico Naturale di cui sarebbe poi stato primo Presidente e Gran Maestro Rolando Simonini. I fini istituzionali prevedevano che l’Associazione sarebbe dovuta essere di carattere volontario, di natura apolitica e senza fini di lucro. La Consorteria, divenuta nel frattempo dell’Aceto Balsamico Tradizionale, svolge tuttora una intensa attività divulgativa e continua a promuove l’annuale Palio di S. Giovanni tra campioni di acetaie familiari e, da quest’anno, esteso anche a quelle dei produttori. L’Amministrazione Comunale di Spilamberto ha gratificato un’attività tanto meritoria quanto impegnativa con l’assegnazione di una sede di prestigio nella ristrutturata villa Fabriani. Ora il sottotetto di questa antica dimora, già sede di una storica acetaia, è stato ripopolato di batterie mentre il piano terra ospita, dal 2002, il Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, un percorso didattico che si sviluppa in un suggestivo susseguirsi di sale espositive.
A volte la novità si sovrappone alla tradizione come si è verificato per una nuova nata, l’A.E.D. Associazione Esperti Degustatori di A.B.T.M.. Da un corso di abilitazione per Esperti Degustatori nasce l’idea di dar vita ad un sodalizio la cui costituzione ufficiale in Associazione avviene il 13 dicembre 2000. Da cosa nasce cosa così, dopo lunga gestazione, l’Assemblea Straordinaria del 13 dicembre 2004 approva la modifica statuaria di estendere l’accesso a tutti coloro che avessero avuto un interesse specifico per il mondo dell’A.B.T.M..
Pur restando nel solco della tradizione, l’ampia versatilità di rinnovati interessi, nuove idee ed unità d’intenti rivolti al mondo del Balsamico con visione moderna e senza preclusioni, hanno raccolto l’incondizionata adesione di cultori e neofiti alle iniziative del 2005 sfociate, nel 2006, nel primo Palio della Ghirlandina - Città di Modena con oltre 500 campioni partecipanti. Benchè siano trascorsi pochi anni dalla sua costituzione, l’A.E.D. ha acquisito una sede prestigiosa presso la secolare Società del Sandrone e una sede tecnico-operativa presso l’ITIS Corni (Modena).
Per informazioni e visite in acetaia a Modena
Associazione Esperti Degustatori
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena – A.B.T.M.
www.aedbalsamico.com
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0039 338 50 87 425
Consorzio Produttori A.B.T.M.
www.balsamico.it
0039 059 39 5633
Gli Aceti di Modena
Modena, terra di motori e di sapori, è una città molto ricca sotto questa luce. Per citare solo i più noti, Ferrari, Maserati, De Tomaso, Stanguellini per i motori, Parmigiano Reggiano, Zampone, Cotechino, Prosciutto di Modena, Lambrusco e Aceti Balsamici. Aceti Balsamici correttamente al plurale, in quanto la nostra città ha la fortuna di avere due Aceti Balsamici: l’Aceto Balsamico di Modena, o A.B.M., e l’Aceto Balsamico TRADIZIONALE di Modena, o A.B.T.M..
Ambedue ottimi prodotti. In etichetta li distingue una sola parola, il termine TRADIZIONALE, ma molte sono in realtà le differenze tra di due prodotti. Le materie prime, il processo produttivo, il periodo d’invecchiamento, la zona d’origine, per citarne alcune, ma più che altro si distinguono al palato e nell’uso gastronomico.
Il TRADIZIONALE, alla luce di un candela, si presenta subito visivamente sciropposo, bruno scuro carico con riflessi rossastri, molto profumato con una garbata acidità, fragrante, penetrante e complesso, ai caratteri olfattivi, e pieno, corposo, rotondo al gusto dove primeggia per la sua naturale armonia. Come in un’orchestra nessuno strumento prevale sugli altri, anche nell’A.B.T.M. aromi, zuccheri e acidi si pongo, al degustatore, in perfetto equilibrio tra loro; mai troppo dolce, mai troppo aggressivo.
Proprio questa sua caratteristica lo porta ad essere definito spesso un distillato e ne consente, anzi ne impone, la prima degustazione in purezza su un cucchiaino. Provate e non lo scorderete mai. Mettete diverse gocce su un cucchiaino, ponetele in bocca, distribuite bene il prodotto, inspirate leggermente e, chiudendo gli occhi, in silenzio, concentrati, potrete percepire appieno tutto quanto un ottimo Tradizionale invecchiato 12 o oltre 25 anni (Extra Vecchio) può offrirvi.
L’A.B.M. invece si presenta limpido, brillante e bruno intenso, ai visivi, intenso con note legnose agli olfattivi, agrodolce, equilibrato, gradevole e caratteristico ai gustativi.
Ma è nell’uso gastronomico che non ci si deve confondere. Duttile e permaloso il TRADIZIONALE, disponibile e flessibile l’altro.
Il TRADIZIONALE si offre duttile grazie alla perfetta armonia ed equilibrio tra le componenti dolci-aromatiche e quelle acetiche che lo rendono idoneo all’abbinamento con qualsiasi piatto dall’antipasto al dolce, dalle carni al pesce, alle verdure cotte e crude in insalata, dai piatti più elaborati e complessi a quelli più semplici, certamente da privilegiare, come, ad esempio, una semplice frittata arricchita magari con qualche verdura saltata in padella. Nell’abbinamento gastronomico l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena non ha limiti se non la fantasia dello chef e il gusto personale del commensale.
Nel contempo l’A.B.T.M. è permaloso, perché esige di essere gustato in purezza, a freddo, direttamente in tavola e non sopporta elaborazioni, non tollera essere fiammeggiato, rifiuta qualsiasi trattamento ai fornelli. Qualsiasi tentativo di violare queste regole distrugge l’armonia e vanifica oltre venticinque anni di cure, amore e lavoro del produttore. Ma non dimenticatevi di provare alcune gocce di Extra Vecchio sul gelato di crema, un matrimonio perfetto.
Il Balsamico di Modena invece per la sua struttura ama la fiamma, si pone con piacere nelle mani dello Chef direttamente in cucina. Si lascia ridurre e amalgamare a caldo; si assembla con piacere ad altri ingredienti; completa e aromatizza salse e fondi di cottura; può marinare carni di vario tipo oltre a condire insalate di ogni tipo.
Gli ingredienti non mancano le ricette, nelle prossime pagine, neppure. E allora: buon divertimento, buon appetito a tutti.
Mario Gambigliani Zoccoli - Presidente AED A.B.T.M.