ROMANZO FINALISTA AL CONCORSO R COME ROMANCE 2019
Debora è una giovane donna intrappolata in un matrimonio infelice che subisce per amore delle sue bambine. Ma un giorno, su una spiaggia assolata, incontra per caso Renato e si riaccende con irrefrenabile passione quell’amore della prima giovinezza che forse in fondo ai loro cuori non ha mai smesso di vivere.
Primo capitolo
1. Un fine settimana a Sabaudia
Sabato, 31 maggio 1997
Era un fresco mattino di fine primavera. Debora percorreva a bordo della sua Nissan Micra rossa metallizzata la strada regionale 148 Pontina, direzione sud.
Le gemelle, al sicuro nei seggiolini sul sedile posteriore, guardavano in silenzio il paesaggio scorrere dietro i finestrini.
Il programma radiofonico fu interrotto dal bollettino meteorologico locale: cielo sereno; temperatura massima 28 gradi; umidità media 61 percento; velocità media del vento 8 chilometri orari; visibilità 22 chilometri.
«Sentito, bambine? Avremo uno splendido fine settimana!»
Debora si rivolse alle figlie con un entusiasmo che era soltanto nella sua voce.
“Devo essere forte per loro. Hanno soltanto sei anni e non hanno chiesto di nascere…”
Alla rotonda prese l’uscita per la strada Migliara 53, un lungo rettilineo che tagliava la parte sud della riserva naturale Piscina delle Bagnature: uno spettacolo incantevole ma rischioso per l’attraversamento improvviso degli animali del bosco e ancor più di notte, per l’assenza di illuminazione. Non di rado era possibile scorgere sul limitare della vegetazione lepri, caprioli e volpi.
Tuttavia, il timore maggiore di Debora era rappresentato dai cinghiali che, sebbene non li avesse mai avvistati, sapeva essere presenti nella riserva. Percorse quel tratto di strada con grande attenzione e prudenza fino a incrociare e superare la Litoranea. Ormai fuori dalla riserva, proseguì con più serenità sul nuovo lungo rettilineo fiancheggiato dai pali della luce e da graziose abitazioni in calce bianca. In lontananza si scorgevano i poderi con le loro case coloniche, gli animali e le attrezzature per il lavoro dei campi.
Pochi minuti più tardi, alle porte di Sabaudia, Madonna iniziò a cantare Frozen. Debora alzò il volume dell’autoradio e si lasciò cullare da quella melodia malinconicamente suadente, le cui note si spensero mentre parcheggiava davanti alla casa dei suoceri.
“Sì, sono gelida… non provo più emozioni. Zia Elisa, come vorrei poter parlare con te.”
Flaminia, donna anziana ma ancora salda come una quercia ed energica come un sergente, andò loro incontro accogliendole con un sorriso radioso. Baciò e abbracciò le nipoti e poi, dopo aver salutato anche la nuora, chiese:
«E Alberto?»
«È rimasto a Roma. Deve lavorare. Forse verrà domani.»
«Avvertilo che siete arrivate, altrimenti starà in pensiero: lo sai com’è fatto.»
Il marito rispose con voce roca e strascicata soltanto molti squilli dopo.
«Alberto, ti ho svegliato?» domandò più infastidita che dispiaciuta.
«Sì, mi sono riaddormentato…»
«Mah! Noi siamo arrivate.»
«Hai corso?» domandò con tono preoccupato e inquisitorio.
«No.»
«Prudenza, amore!»
«Sì.»
«Hai fatto il pieno di benzina prima di partire?»
«C’era ancora metà serbatoio.»
«Potrebbe non bastare. Bisogna essere previdenti.»
«Sì, Alberto, nel pomeriggio andrò dal benzinaio.»
«Hai portato i golfini per la sera? E i k-way se dovesse piovere? E la crema solare?»
«Basta!» gridò risentita. «Pensi di aver sposato una demente o una ragazzina?»
«Siamo alle solite: è appena iniziata la giornata e sei già collerica. Sei sempre scontenta, sempre nervosa. Ma si può sapere che cosa c’è che non va?»
“Mi sono imposta di dare una famiglia alle mie figlie e l’avranno…”
Alberto proseguì con il consueto tono accomodante e saccente al tempo stesso:
«Vedi, amore, l’organizzazione è importante…»
«Sì, Alberto…» rispose alzando gli occhi al cielo. «Ma ora vado in spiaggia. Ci sentiamo stasera».
Debora tagliò corto: non aveva voglia di subire un nuovo panegirico sull’importanza dell’organizzazione.
Infatti, Alberto pianificava e controllava tutto con esasperante pignoleria per non lasciare nulla al caso e quindi al possibile errore. Questa sua forma mentis faceva di lui un valido professionista e l’ottimo amministratore di quella che definiva la nostra piccola ma prospera impresa familiare.
Alberto era indubbiamente anche un buon padre, ma Debora non poteva esprimere un giudizio altrettanto positivo sul marito: da anni dormivano nello stesso letto senza sfiorarsi, ognuno dalla propria parte. I loro dialoghi erano circoscritti alle gemelle, al lavoro e alla gestione della casa. Ogni volta che Debora aveva provato ad accennare al loro rapporto di coppia, Alberto aveva replicato con la solita compassionevole saccenteria:
«Amore, è un periodo, siamo stanchi, lavoriamo molto, le bambine sono ancora piccole, ma vedrai che fra cinque o sei anni tutto cambierà».
“Dalla nascita di Gaia e Allegra abbiamo fatto sesso soltanto una volta e perché fui io a prendere l’iniziativa. Iniziativa che non ho più ripreso: mi paragonasti alle puttanelle con cui uscivano i tuoi commilitoni quando eri sotto le armi.
Io ti sarò sembrata una puttanella, ma tu ti domandi come appari ai miei occhi? Come fai? Ti masturbi? Hai un’altra donna? Ti dormo accanto e non hai il desiderio di toccarmi, di prendermi, di soddisfarti…
Non sono brutta e sono ancora giovane! E vedo come mi guardano gli uomini per strada o in ufficio, come quel porco del figlio del capo, ma non sono una donna da una scopata e via col collega di turno!
Però sono anche stanca di appagarmi da sola…”
Un tempo Debora avrebbe voluto gridargli in faccia tutto ciò, ma ormai per suo marito non provava più nulla: né attrazione fisica né amore.
Tuttavia, il timore di affrontare le difficoltà economiche, logistiche e organizzative che sarebbero derivate dal divorzio, e la ferma volontà di non privare le figlie di una vera famiglia, la piegarono a perseverare rassegnata in quella grottesca vita di coppia.
**********
Debora, rimasta orfana di entrambi i genitori all’età di sei anni, fu allevata dalla prozia paterna Elisa, più semplicemente zia Elisa, sua unica parente. La zia, donna nubile, giudiziosa, dal carattere fermo, con i piedi ben ancorati alla realtà, la ricopriva d’affetto; e Debora la ricambiava con l’attaccamento di una figlia.
Conseguito il diploma di ragioniera, Debora iniziò a lavorare per un commercialista. Il tempo libero lo trascorreva in compagnia delle persone a lei più care: la zia e Renato, il figlio del portiere, il suo compagno di giochi dell’infanzia.
Ai primi di maggio dell’anno seguente conobbe Alberto a una cena di lavoro. L’uomo iniziò a corteggiarla in modo discreto e a fine mese le propose di andare a vedere una mostra di pittura.
Alberto era un uomo di circa trent’anni, dal passato sportivo ed economicamente agiato. Non soltanto era un valente revisore contabile, ma coltivava anche interessi che esulavano dal suo lavoro. Uscirono insieme ogni fine settimana. L’ultimo sabato di giugno, durante una romantica passeggiata al Giardino degli aranci, sul colle Aventino, Alberto la baciò. Subito dopo quel bacio, né troppo lungo né troppo appassionato, le dichiarò il suo amore e le chiese di sposarlo.
Tuttavia, poiché la settimana successiva sarebbe andato a New York per lavoro e vi si sarebbe trattenuto per tutta l’estate, le disse che avrebbe avuto tutto il tempo necessario per riflettere sulla sua proposta.
La sera stessa Debora ne parlò con la zia. L’anziana donna, impensierita, quasi la implorò:
«Non avere fretta, bambina mia! Pensaci bene. Lo conosci da troppo poco tempo, e poi… sei ancora così giovane, mentre lui…»
Alberto non le piaceva. L’anziana donna sentiva che quell’uomo nascondeva qualcosa a se stesso ancor prima che al prossimo.
Ciò nonostante, nei mesi che seguirono la morte della zia, Debora si convinse che il matrimonio con un uomo come Alberto fosse il porto sicuro in cui rifugiarsi.
Alberto, affettuoso e accudente come può esserlo un padre con una figlia, fin dal viaggio di nozze si rivelò un amante dagli appetiti radi e veloci da saziare.
Nacquero poi le gemelle e Alberto non prese più iniziativa neanche per consumare quei rapidi e rari incontri.
«Vedi, amore,» era solito ripeterle, «la vita di coppia non è la commedia romantica o sexy di Hollywood dove tutto ruota intorno al sesso, all’erotismo e alle passioni travolgenti.
La realtà, Debora, è fatta da bollette da pagare, dal soccorrerci vicendevolmente, da una casa bella e confortevole in cui vivere, dai figli da crescere.
La famiglia è una macchina da far funzionare: è una piccola impresa in cui far quadrare le entrate con le uscite, il dare con l’avere».
Così Debora si lasciò plagiare e guidare da quell’uomo più grande ed esperto di lei. D’altronde aveva avuto soltanto un fidanzatino negli anni della scuola superiore.
Talora però i sensi inappagati le riproponevano con prepotenza un segreto preziosamente custodito in fondo al cuore, che la sua razionalità avrebbe voluto estirpare dalla memoria.