Il titolo prende spunto dall’ultimo di 27 racconti-intervista ad anziani nati tra il 1917 e il 1947.
“La Storia grande con le sue guerre e i suoi dopoguerra e la politica l’economia le relazioni internazionali, gli è passata accanto, fastidiosa, e in questi racconti resta un fondale indefinito – scrive Marzio Maria Cimini nella prefazione – conta solo la loro storia, contano solo le vite loro e di quelli che hanno conosciuto, molti di questi sono suoni, risate, gesti, non hanno volti, travolti dai decenni di lontananza, sbiaditi da altri e più nuovi ricordi, e non restano che poche foto graffiate dall’uso, piegate in traslochi, dimenticate in fondo a qualche cassetto”.
Il sangue di delfino è quindi la metafora di chi non ha saputo raccogliere un’eredità che gli spettava, di chi ha strappato voracemente la rete della memoria degli anziani, lasciandola vuota. Ma il delfino è simbolo di saggezza, di chi quell’eredità, quella impossibile pesca miracolosa, desidera ora recuperarla accettando il delfino per quello che è, vittima e aguzzino al tempo stesso.