Il Sillabario è un racconto in ventitré capitoli legati da un filo rosso che unisce musica e alfabeto. Spesso semplice pretesto per spaziare in altri campi dell’arte e della conoscenza, il discorso amplia i confini dell’esplorazione, componendo una trama che intreccia i ricordi personali, le contaminazioni delle letture e qualche rievocazione nostalgica, sempre in bilico però fra ironia e autoanalisi, per sollecitare il lettore curioso e attento ai risvolti psicologici della narrazione. Il libro si potrebbe leggere anche a ritroso, come un palindromo che rivela il medesimo senso; in questo caso, il senso di una vita.
Primo capitoloPRELUDIO
Non creda il benevolo lettore di trovarsi fra le mani un piccolo lessico per l’istruzione musicale, compilato con scrupolosi intenti didattici e provvisto di utili consigli. Si tratta piuttosto di un diario sentimentale che ha un’ambizione scoperta, ed è quella di indurre chi lo leggerà, magari digiuno di musica, ad abbandonare la diffidenza o, peggio, l’indifferenza che ispirano solitamente le pagine dedicate a quest’arte, persino quando a dettarne la prosa e a scandire il suo ritmo sia una voce autorevole e ammantata del carisma di una fulgida carriera.
È risaputo che i musicisti, anche i maggiori, hanno raramente dimestichezza con le parole, perché si muovono con agio solo quando si trovano sul più congeniale perimetro tracciato dal pentagramma: qui possono dispiegare le loro grandi ali «come per abbracciare qualche arca santa», proprio come l’albatro immacolato e regale di Melville, posato sopra il ponte della nave. Che tuttavia, quando non può alzarsi il volo, rischia di trasformarsi in quello goffo e impacciato di Baudelaire, su un'altra più crudele nave.
La mia più modesta navigazione, dopo una paziente ricognizione, ha prodotto un indice alfabetico, da cui sono scaturiti pensieri molto spesso renitenti ad essere legati da un filo logico, ma germogliati tutti dallo stesso terreno in cui hanno affondato le loro radici nel corso dei numerosi anni d’insegna-mento, o grazie alla vicinanza ininterrotta con le nuove generazioni, o ancora durante l’assidua e pensosa frequentazione di librerie e sale da concerto.
Che la vita sia in ordine alfabetico – parafrasando in positivo il titolo di un libro del vasto catalogo einaudiano – è una bizzarria enciclopedica che mi piace assecondare ancorandola a queste pagine. Il libro, va detto, allude solo nel titolo ai celeberrimi sillabari di Goffredo Parise, la cui biografia movimentata e turbinosa offrirebbe di per sé materia per qualche altro nutrito indice. Frutto invece di una vita solo interiormente inquieta e più spesso irresoluta, il mio è l’approdo in lettere di un’esistenza dedicata alla musica e ai libri, con esiti incerti e con la provvisorietà di una partita in cui i contendenti devono muovere ancora le ultime pedine.
Qui si parlerà, talvolta con ritrosia, talvolta con fervore, non solo di musica, ma anche di persone, luoghi, fatti, idee. E di qualche libro. Tra il serio, più spesso, e il faceto, qualche volta, le riflessioni si dispiegheranno seguendo la libertà dello stylus phantasticus barocco, fra Toccate, Ricercari, Fantasie e qualche concessione autobiografica, solo per quel tanto che basta a condividere con il lettore uno stato d’animo o un’impressione.
Se occorre poi trovare un intento pedagogico a ogni costo, sarà quello di indurre i lettori più curiosi all’ascolto delle musiche e alla lettura di quei libri qua e là soltanto evocati, ed anche, perché no, all’approfondimento dei tanti argomenti affrontati, forse non sempre sine ira et studio, ma sempre con quella partecipazione appassionata che chiede e ottiene facilmente il perdono, anche quando sfiora di sfuggita la partigianeria. L’auspicio è che il lettore si lasci coinvolgere strada facendo dalle riflessioni e dagli spunti che il libro cercherà di offrigli voce dopo voce, e decida di intraprendere a sua volta un viaggio con in mano il sillabario come guida, quasi un Baedeker d’altri tempi. Il che potrebbe offrirmi il destro per aggiungere nuove idee e magari riversare sulla carta altre voci per ulteriori sillabari. In questo modo sarebbe forse possibile tracciare nuovamente una storia del mondo in cinquecento parole, come quella che Eugenio D’Ors scrisse alle soglie della Seconda Guerra Mondiale. Fece appena in tempo, perché dopo di allora per descrivere il mondo in rovina le parole non sarebbero più bastate.
E nemmeno le lacrime.
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