ROMANZO PRIMO CLASSIFICATO AL CONCORSO GIALLOFESTIVAL 2019
Come reagirebbe il tuo vicino di casa, il tizio del terzo piano che tanto ricorda Tom Waits ma senza attitudini musicali, se un pacco a lui indirizzato sparisse dalla portineria? E se i sospetti portassero alla ragazzina del primo piano, quella che vuole un tatuaggio sul seno per far colpo su un rapper spiantato? E quanto si complicherebbero le cose se, tra le mura di questo ipotetico condominio, ci ficcassimo una vecchia settantenne che tiene sotto chiave gli scheletri nell'armadio di poveri cristi in cerca di soldi, uno psicopatico con una puttana morta nella vasca e un marito tradito in cerca di redenzione? In una Milano sbiadita dai fumi dell'alcol e dal tratto di una mano tutt'altro che ferma, s'intrecciano a doppio filo le storie di personaggi che faticano a stare a galla, in una corsa contro il tempo che rischia di portare tutti al camposanto.
Primo capitoloINTRO
Quella puttanella del primo piano ha di nuovo sporcato il ballatoio con le sue luride scarpe da ginnastica.
La signora Iside stringe le dita scheletrite sul corrimano e intanto smozzica una mezza preghiera che le ruota a nastro nella testa arteriosclerotica.
Quel maledetto ascensore è sempre fuori servizio… Uff… così mi tocca sudare sette camicie per arrivare alla porta di casa… Uff… cose da non credere, ma alla prossima riunione di condominio darò una bella ripassata a quella testa di cazzo dell’amministratore…
Raggiunge annaspando il secondo ballatoio e si ferma a riprendere fiato sulle gambe malferme.
Sente un vociare isterico dietro la porta di destra. Ruota la testa e sfiora con i polpastrelli i grani del rosario che gli penzola dal collo.
Perdonami, Signore, perché sto per peccare.
Tira su col naso e sputa un filo di saliva che atterra mollemente sullo zerbino.
Ben fatto, mia cara.
Si asciuga la bocca col dorso della mano.
Dannati orientali senza sugo… non sanno fare altro che sbraitare tutto il santo giorno nella loro lingua da sottosviluppati e cucinare sbobba puzzolente che ti si attacca addosso.
Arpiona il corrimano della quarta rampa di scale e affronta la salita con un passetto alla volta.
Ai miei tempi, le cose andavano diversamente e l’Italia era un posto migliore in cui vivere. Amen.
Sente il peso della borsetta premere sull’incavo del braccio piegato contro il fianco. Una goccia di sudore le riga la tempia, zigzagando tra la pelle incartapecorita. Stringe la mascella per la fatica, facendo pressione sulla dentiera che le riempie la bocca. Il terzo pianerottolo è un miraggio che sfrigola come asfalto arso dal sole.
Hai la scorza dura, vecchia Iside… dai che puoi farcela.
Irrigidisce la schiena, solleva il mento e avanza impettita quasi fosse un soldato che sfida il fuoco nemico. Conquistato anche il terzo ballatoio, si porta la mano all’altezza del cuore e preme il palmo sulla camicetta.
Cerca di non farti venire un infarto o diventerai lo zimbello del quartiere.
Si ferma, socchiude le palpebre e si riempie i polmoni d’ossigeno. Per un attimo riesce anche a rilassare la muscolatura, dando sollievo alle sue povere ossa masticate dallo sforzo.
Un ansare concitato cattura la sua attenzione.
La signora Iside solleva la testa e si avvicina alla porta sulla destra. Trattiene il respiro.
Dall’interno sente inequivocabili gemiti di piacere.
Oddio…
Indietreggia di un passo e si attacca di nuovo al rosario. Si fa il segno della croce e scuote una criniera di capelli arruffati che seminano coriandoli di forfora sulle spalle striminzite.
Le donne di oggi sono sgualdrine ninfomani che non fanno altro che fornicare dalla mattina alla sera.
Si volta disgustata e affronta le ultime due rampe che la separano dal suo appartamento.
Già s’immagina in poltrona col suo gatto in grembo.
Raccoglie gli ultimi scampoli di energia e ricomincia a salire ruminando la solita nenia religiosa che riempie gli spazi vuoti dei suoi pensieri.
Inforca l’ultimo scalino allo stremo delle forze e barcolla in avanti quasi volesse tagliare un traguardo immaginario.
Sei arrivata…
Sbuffa e intanto infila una mano nella borsetta in cerca del mazzo di chiavi.
Si blocca.
Qualcosa non torna.
Muove la testa in direzione dell’ascensore e mette a fuoco: la porta di sicurezza è spalancata, ma la cabina non è all’altezza del piano.
La signora Iside si avvicina, si aggrappa alla cornice di marmo e allunga il collo. Vede una gola buia e senza fondo scendere lungo il vano ascensore. Rabbrividisce, alza il mento e trova la base della cabina ferma a un metro dalla sua testa.
Eccola lì!
Si gratta il mento.
Qualcuno deve avere chiamato il Centro Assistenza.
Si volta, sfila il pesante mazzo di chiavi dalla borsetta e se lo porta a un palmo dal naso. Pesca la chiave che le interessa, ma il mazzo le sfugge di mano e finisce a terra con un rumore di vetri rotti. La signora Iside affonda gli incisivi nel labbro inferiore, si piega lentamente sulle ginocchia e allunga il braccio verso l’anello di metallo che tiene insieme le sue chiavi. Riesce ad agganciarlo con la prima falange del mignolo e sente una fitta alla base della schiena che le mozza il poco fiato che ha in petto.
Allora serra le palpebre per assorbire il dolore e non vede l’ombra che le si avvicina, le strappa di mano il mazzo di chiavi e le dà una spinta per farle perdere l’equilibrio.
La signora Iside si sbilancia all’indietro e finisce tra le fauci del vano ascensore senza il tempo di raccomandare la sua povera anima al buon Dio.