È il gentile e piano dialetto di Concordia (MO) che trionfa per la seconda volta nella ricca opera poetica di Luciano Prandini, il dialetto come lingua e come visione del mondo. Come dice Milena Nicolini, esso “è in lui cellula fisica del sentire, vedere, pensare, non gli è posticcio e non lo sceglie come variante linguistica o esibizione intellettuale modaiola. Il suo dialetto ci arriva con tutta la forza sensuale che gli compete, portatore di una natura, di un mondo di cui non è solo limitrofo, adiacente, ma fisicamente, matericamente suo prodotto-frutto, suo testimone-impollinatore, suo esploratore odisséo”. Questa lingua di origine è il suo imprinting, come egli stesso dichiara nella sua precedente pubblicazione (Fulet, Folletti), la freccia dell’arco della sua giovinezza, connaturata alla realtà della natura, scagliata nel divenire del mondo.