I testi teologici di Pietro Abelardo consegnano un disegno ambizioso e inedito alla storia del cosiddetto “pensiero cristiano”: elaborare, nell’ambito della riflessione sulla fede, degli studi di divinitas, come si diceva allora, un vero e proprio nuovo sapere. Quel sapere che lo stesso Abelardo definisce theologia, usando per la prima volta un termine che, da allora in poi, entra a pieno diritto nella tradizione speculativa. Il saggio vuole esplorare i presupposti metodologici di questa nuova disciplina che, in modo originale rispetto alle consuete forme della sacra doctrina medievale, recepisce insieme le istanze della dialettica classica e dell’episteme aristotelica. Sulla base del fondamento vincolante della fides – inconfutabile e indimostrabile alla guisa dei primi principi – e nella consapevolezza dei limiti della ragione umana, la theologia si assume il compito di fondare un discorso che superi per via argomentativa l’impasse dell’inconciliabilità degli enunciati che esprimono, a proposito del mistero trinitario, la simultanea unità e pluralità, identità e differenza. La dottrina della triade delle attribuzioni potentia, sapientia, benignitas, inedita e peculiare risposta abelardiana, anticipa considerevoli, futuri sviluppi teoretici ma rimane controversa sul piano dottrinale, come dimostrano le polemiche che vedono il magister protagonista e vittima assieme. La vicenda umana e intellettuale di Abelardo testimonia tutta la verità dell’ammonimento di Agostino, assai noto ai medievali: quando si tratta della unitas Trinitatis «non c’è altro argomento a proposito del quale l’errore sia più pericoloso, la ricerca più ardua, la scoperta più feconda». Le intuizioni di indubbia modernità che segnano il pensiero di Abelardo possono ancora fare della nova theologia un valido riferimento per l’attuale dibattito sul trattato De Deo uno et trino.