Eviscerare, smontare, incasellare e interpretare il suo rigurgito di parole, la sua overdose di narrazione, quel filo sottile tra racconto e poesia, tra devozione alla terra natia e ricordi di un Nord abbandonato per ritrovare se stesso. ’U Milanese. Un viaggio lungo come un pianto. Il ritorno. Il bar, la birra, gli amici di sempre, gli odori ancestrali, i giochi antichi, il cielo di Cacciano con le stelle che brillano "libere", la ferma volontà di tenersi alla larga da ogni conformismo. Personaggi che si muovono in uno spazio ristretto, fermi nel tempo, mai paghi della quotidianità che li rende liberi. Pennellate sceniche ove non manca l’ironia, la malinconia, la filosofia di una vita vissuta alla giornata, fatta di stenti, di speranze, di risate grasse, di valori autentici espressi in un lessico asciutto, ruvido, pregnante ed essenziale. ’U Milanese. Le spalle appoggiate ad un tronco, gli occhi al cielo, le labbra baciate da una sigaretta. Tra un rutto ed una lacrima...
Primo capitoloAl Sud l’articolo ‘il’ è ‘ ’u ’, quindi a Cacciano il Milanese diventa ’u Milanese. Nella saletta posteriore del Bar della Gioventù c’era la nebbia, ’u Milanese un po’ si sentiva a casa e questo gli faceva venire quel ghigno storto sulla faccia, mentre sfogliava piano le carte napoletane. Non era vera nebbia, in realtà la cappa che aleggiava nella stanza era un misto di fumi d’alcol e sigarette. Anche se attaccato al muro c’era un bel cartello rosso con la scritta bianca: “Vietato fumare”, la normativa antifumo non era mai stata recepita né da Baslaitìar, né dai suoi clienti. Il cartello stava lì perché almeno quello ci doveva essere. Le regole da rispettare nel Bar della Gioventù erano altre, poche, ma inderogabili: niente credito, niente risse e si pisciava centrando la tazza, altrimenti la si faceva fuori nell’aiuola. Baslaitìar era inflessibile, oltre alla mascella quadrata, che gli aveva dato il soprannome dal personaggio di Toy Story, aveva anche un paio di mani che sembravano due badili, i migliori dissuasori per gli avventori che non portavano rispetto. La sedia di plastica rossa del Milanese era l’unica ad avere i braccioli; alla sua sinistra c’era Mimmo ’u Snello, e i suoi centoquaranta chili stavano mettendo a dura prova la resistenza delle due sedie impilate sotto di lui. Allo stesso tavolo c’erano, in senso antiorario, Pastina, ’u Napoletano e Perrotta a chiudere il cerchio. Erano arrivati all’ultima birra dell’ultimo giro di carte, il sesto. Snello e ’u Milanese erano pieni fino all’orlo. Perrotta si era riempito per bene lo stomaco al pranzo domenicale dal fratello, ma per onorare il tavolo s’era bevuto in media una birra a giro: dignitoso. Pastina sperava, in quest’ultima tornata, di rifarsi un po’, aveva la lingua secca, continuava fare smorfie e a muovere le mandibole come se stesse masticando carta igienica, aveva bevuto si e no quattro Nastro Azzurro. ’U Napoletano, invece, era incazzato nero, ventinove birre, e con questa trenta, gli erano passate davanti, non ne aveva assaggiata una. Nella Valle si dice urmo, quando uno non beve a Padrone e Sotto è urmo. Il Padrone e Sotto si sarebbe definito lo sport nazionale della Valle Vitulanese. Ne esistevano diverse versioni, con piccole varianti, ogni paese adottava la sua, ma lo scopo era sempre lo stesso: bere più birre possibili. Sul tavolo si definivano alleanze, si rinnovavano amicizie, si inasprivano conflitti e si dimostrava il proprio valore; tutto, mano a mano che si andava avanti, amplificato e anche distorto dagli effetti della birra. “Che palo è?” chiese il Perrotta senza alzare gli occhi dalle carte. “Denari, Perrò” - ringhiò il Napoletano - “è la terza volta che lo diciamo”. Perrotta, al contrario del Napoletano era calmo, lui era sempre calmo, così calmo che ti faceva innervosire. Pastina si era portato avanti e, nel frattempo, aveva poggiato sul tavolo il fante di denari scoperto, la carta del Sotto. ’U Milanese si fece un giro del tavolo con gli occhi e, quando fu sicuro di avere tutta l’attenzione, poggiò il cavallo di denari davanti a sè: era il Padrone. Tre anni prima non lo avrebbero nemmeno fatto sedere a quel tavolo.