Un cadavere e mezzo
Una ragazza esanime sulla Fondamenta di un canale di Venezia.Un cadavere? Diciamo… mezzo. Un giornalista fiuta lo scoop e collabora. Spunta una tavoletta incisa con caratteri cuneiformi: un raro reperto, se autentico. Un noto antiquario veneziano e la sua affascinante socia in affari intravedono l’affare della vita quando un facoltoso cliente americano si fa avanti per acquistarlo. L’americano è in arrivo e occorre esibire la tavoletta. Tutti si concentrano alla mostra dell’antiquariato dove… al mezzo cadavere se ne aggiungerà un altro e il commissario Bernardi cercherà di mantenere la promessa fatta al giornalista in attesa del suo scoop.
Senza scarpe
Il commissario cerca un pretesto per sottrarsi ad una crociera impostagli dalla sua amica, la contessa Ludovica. La quale, in vista della crociera, ha acquistato un esclusivo paio di scarpe. Il pretesto si presenta sotto forma del cadavere di una giovane donna che affiora inopinatamente da un canale prossimo al commissariato. Un cadavere privo di scarpe. Da dove è arrivato? Intanto, ancorata al molo, la grande nave da crociera attende i passeggeri, tra i quali anche la contessa Ludovica e il commissario, che non intende salirci. Ma l’inchiesta lo conduce proprio a bordo dell’enorme bastimento, un labirinto di corridoi, cabine, sale e saloni, oltre che di ambizioni e passioni. Un intrico, nel quale le scarpe della contessa diventano importanti…
Era già buio, ma non proprio buio pesto. Una notte di luna quasi piena, con i suoi riflessi perlacei sui canali e sui vetri delle finestre dei palazzi. Al commissario Fulvio Bernardi piaceva passeggiare senza una meta, in una di quelle parti di Venezia dove non si incontrano turisti. Nel caso particolare di quella notte, la zona di Dorsoduro, nella parrocchia di San Trovaso, era fuori dal triangolo della ressa turistica Rialto-San Marco-Accademia, per di più a quell’ora. La passeggiata notturna serviva a fargli passare la nausea che gli aveva messo addosso la vista poco prima di una ragazza suicida, all’obitorio. Si era gettata tra le rotaie e il treno in arrivo, nonostante la velocità ridotta, le aveva maciullato la testa. Tutto era accaduto perché la suicida, nella fretta maldestra di quell’attimo terribile, era inciampata, così che la locomotiva, pur frenando con uno stridio sinistro, le era passata sulla testa. Il corpo era rimasto illeso nel corridoio petroso tra i due binari. E la disgraziata, senza documenti indosso, era rimasta non identificata. Bernardi aveva dovuto prendere visione della suicida all’obitorio, e ne era uscito con il bisogno di vomitare dopo aver fissato quel corpo senza testa. Per non parlare di Basso, il suo agente, che aveva vomitato proprio accanto al tavolino della patologa. La dottoressa Gasparini aveva fatto una tale scenata da far venire a Basso il mal di testa dopo quello di stomaco. E aveva ingiunto al commissario di proibire all’agente per il futuro l’ingresso all’obitorio. A Bernardi piaceva di solito vedere la dottoressa arrabbiarsi, rossa in viso e con gli occhi lampeggianti. Le palpitavano le narici mentre rovesciava indietro il capo e si agitavano i capelli fino a coprirle gli occhi. Era una bella donna. Irascibile, purtroppo. O per fortuna. Considerando la voglia che sempre il commissario aveva di stuzzicarla, provocandone le reazioni. Ma quella sera, alla vista della suicida così conciata, anche il commissario si era sentito a disagio e gli era mancata la voglia di scambiare qualche battuta con la Gasparini. Era per questa ragione che aveva deciso di andarsene a casa prendendola molto alla lontana e passeggiando dalle parti di San Trovaso, evitando di passare da Ludovica che gli aveva telefonato per chiedergli di accompagnarla al cinema. Aveva rifiutato adducendo un mal di testa che, se ancora non era scoppiato, minacciava di farlo di lì a poco. E, in quei casi, la soluzione era camminare senza meta e senza appuntamenti, in giro per la città possibilmente vuota o deserta. Era piacevole passeggiare per la fondamenta Ognissanti perché in quel momento era proprio silenziosa e deserta, non si udiva altro suono che lo sciabordio delle barche legate ai pali. Bernardi trovava rilassante la luna che faceva risplendere le lievi onde del canale e si fermava di tanto in tanto a guardare i muri screpolati dal tempo sulla fiancata della chiesa e sulle facciate delle case: l’umidità riduceva i mattoni e gli intonaci in quella polverina ai piedi delle pareti. Era la pelle, fragile ma resistente, attraverso cui respirava Venezia. A un certo punto, appena passato il terzo dei cinque ponti che attraversano il lungo canale, dapprima un rumore affrettato di passi e poi un piccolo urlo troncato a metà lo fecero voltare di scatto. Si rese conto in un attimo che qualcosa di sgradevolmente anormale stava succedendo alle sue spalle. Una donna, quella che aveva gridato, era caduta esanime a terra e una figura incappucciata le stava vibrando una coltellata. Ne seguì una seconda. Il commissario si mosse per accorrere in suo aiuto, senza neanche riflettere, partendo d’istinto. Ma fece appena in tempo a fare due passi di corsa che la situazione ottica si modificò. Verso la donna pugnalata stava correndo anche una persona, che prima Bernardi non aveva notato perché ancora troppo lontana. Invece la figura incappucciata, accortasi dei due soccorritori, gettò il coltello fuggendo veloce per quella calle trasversale che i veneziani chiamano Rioterrà Ognissanti. Bernardi arrivò per primo presso la donna che era riversa e quasi a rischio di finire nel canale, giacché nella caduta una parte del corpo era scivolato sulla riva. Il passante, che era un uomo, arrivò subito dopo e si inginocchiò accanto al corpo inanimato, di fronte al commissario che era giunto pochi attimi prima ed era pure lui inginocchiato. Mentre il commissario cercava con prudenza di rigirare il corpo della donna a terra tirandolo a sé per non farlo precipitare in acqua, il passante si dette anche lui da fare, ma nella fase concitata non riuscì che ad afferrare la borsa della donna. Bernardi, d’istinto, reagì con prontezza e gli riprese dalle mani la borsa alzando il viso a pochi centimetri dal passante. “Per fortuna non è niente, i colpi del pugnale sono caduti di striscio e non si vede sangue” disse l’uomo. L’aveva detto con una specie di accento strisciante in bocca. Bernardi notò, pur nella luce incerta della notte lunare, che quell’uomo aveva un labbro anomalo, leporino. E forse per quello la voce appariva strana. Con il solito tono autoritario che riservava in simili situazioni di emergenza, Bernardi comandò: “Polizia. Lasci perdere la borsa. Mi aiuti invece a sollevarla. La sede dell’ospedale ex Giustinian è qui a due passi, ma a quest’ora non ci sarà nessuno. Meglio chiamare il 118.” Il passante parve riflettere e storcere ancora di più la bocca. Quindi, mentre il commissario telefonava, si alzò di scatto e scomparve dalla vista correndo via velocemente. Rimasto solo, Bernardi intascò il cellulare con cui aveva dato le indicazioni del posto, si protese sul corpo inanimato della donna. Non si vedeva sangue, ma forse perché era buio. La donna poteva anche essere morta, ma ebbe l’impressione che fosse solo svenuta. Era giovanissima. Le slacciò il blusone tastando con le dita il fianco, per trovare il punto dove il coltello aveva infierito sul corpo. Ma le sue dita non furono inumidite dal sangue. Nulla. Sembrava che la ragazza non avesse ricevuto alcuna pugnalata. Poi si accorse dell’errore. Le pugnalate avevano squarciato un grosso plico appiccicato di traverso sul corpo, sotto la sottoveste. E naturalmente i colpi inferti erano stati così violenti che la punta del grande coltello aveva raggiunto il fianco di striscio, almeno così sembrava al chiaro di luna, incidendolo a quanto gli parve solo superficialmente. Però la ragazza era inerte e sembrava morta. Le tastò la gola. No, non era morta, solo svenuta, perché probabilmente la testa nella caduta aveva sbattuto contro il marmo della banchina del canale. Di lì a poco si sentì la sirena dell’ambulanza e la lancia attraccò proprio nel punto in cui la ragazza era riversa.