LA NUOVA INDAGINE DEL COMMISSARIO CATALDO
Durante i lavori di demolizione di un vecchio edificio a Modena, si rinviene uno scheletro, che l’antropologo forense attribuisce a una ragazza tra i diciotto e i ventidue anni. Le indagini per identificarla vengono affidate al commissario Cataldo, che, scavando nel passato, apprende di una compagnia di bikers che si riunivano in quel luogo, ma deve interrompere le ricerche pochi giorni dopo, quando viene assassinato il proprietario della Delta, l’azienda farmaceutica più nota in città. La nuova inchiesta proietta ora Cataldo nel mondo della ricca borghesia, in una doppia direzione professionale e privata: se la concorrenza industriale, il licenziamento di un sindacalista e le minacce degli animalisti sono piste da seguire, non va trascurata neppure quella di una relazione segreta dell’uomo con una donna a tutti ignota. E mentre nuovi colpi di scena si susseguono, e altro sangue viene versato, alla fine lo scheletro è identificato in quello di una liceale scomparsa nel nulla nove anni prima, subito dopo l’esame di maturità. Cataldo allora capisce che la soluzione è da ricercare in un drammatico intreccio tra passato e presente, tra la casa farmaceutica di oggi e i compagni di scuola di ieri, ma dovrà agire in fretta, sempre più in fretta, perché nell’ombra della sua insospettabilità l’assassino è pronto a colpire ancora...
Primo capitoloPROLOGO
Tento di muovermi e mi sfugge un lamento. Il dolore mi azzanna la gola. Ricado in avanti, col fiato mozzo, sull’orlo del panico.
Il dolore si attenua, si stabilizza, fino a battere al ritmo delle arterie. Lentamente, cautamente, mi tocco con le dita il collo, sfioro la camicia insanguinata, cerco la ferita. Mi blocco all’altezza del pomo d’Adamo. Ricordo il coltello.
Sento un leggero rumore. Come di passi. Non lontani, forse sul pianerottolo. Non ce la faccio a localizzarli. E neanche a identificarli. In ogni caso è qualcosa di vivo, e non sono i soccorsi. Troppo silenzio, niente sirene, niente sbattere di portiere. Pericoloso? Non so nemmeno questo. In realtà, me ne frego. Oltretutto, il rumore si allontana, svanisce con i battiti del cuore. Diastole, sistole, e io che mi dissanguo a ogni contrazione.
Cerco di rammentare. Lei ha suonato, si è presentata. Sembrava normale, tranquilla; senza nessuna fretta. Non ricordo che cosa le ho detto, ma l’ho fatta entrare. Poi le ho girato le spalle e ho preso un coltello dal cassetto. Logico, sì, che fosse venuta a vendicarsi. Dopo nove anni. Chissà, però, come avrà fatto a capire. Che ero stato proprio io.
L’ho guardata bene. Una vecchia, solo questo. Che la vita aveva già ucciso, prima che venisse qui, prima che mi trovasse. Morta per colpa mia. Ma adesso cosa cercava da me? Quello che è stato è stato, le ho detto. Voleva che confessassi? Che andassi alla polizia? E a cosa sarebbe servito? A ridarle sua figlia? I morti non tornano in vita, nessuno torna indietro. Mai. Non so perché ho cominciato a parlarle. A dirglielo. E ho messo giù il coltello. Non ne avevo poi così bisogno, per ucciderla. Prima volevo parlarle, sì. Spiegarle. Ma anche lei l’aveva, un coltello. Dentro quella cazzo di borsetta. Non ci ho pensato affatto. Mi sono avvicinato e ho visto la lama all’ultimo istante. Troppo tardi.
Sono svenuto, probabilmente.
Ho perso molto sangue? La mia voce... Le corde vocali sono state raggiunte? Come faccio a saperlo? Ci vorrebbe un medico, sì... ma in fretta. Subito.
Un sussulto mi strappa un altro lamento. Ho un principio di nausea, la gola mi brucia, sento una contrazione violenta, dolorosa. E lei dov’è? L’ho uccisa? È fuggita? Non lo so. Vicino a me non odo alcun rumore. Non so se sia meglio restare immobile o tentare di alzarmi in piedi e trascinarmi fino alla porta. So che la ferita mi fa sempre più male e che comincio ad aver freddo. So anche che non devo perdere i sensi un’altra volta.
Mi tornano alla mente delle immagini. Immagini che sembrano vecchie di anni, ma che hanno solo poche settimane. E un’altra, invece, di nove anni fa. La più nitida di tutte. Lei che torna a casa a piedi da sola. La mia macchina che si ferma, il finestrino che si abbassa, la mia voce che la chiama.
E la casa, quella casa. Alla fine.
1
TRE SETTIMANE PRIMA
C’è poca luce, in quel seminterrato, alle sette di lunedì mattina. L’operaio guarda l’orologio, aspetta qualche minuto, poi si decide a cominciare da solo, senza aspettare che arrivino gli altri. Per qualche minuto lavora col piccone, prima di smuovere la terra con la pala. Ma a un tratto ha un moto di raccapriccio sentendo un rumore secco, come se il ferro avesse urtato qualcosa di duro, e un istante dopo le vede bene. Le ossa di una mano. Con le dita curve, lunghe, orribili.
— Santo Dio — mormora.
Fissa la mano. Sporgendo dalla terra in quel modo, dà quasi l’impressione che qualcuno stia tentando disperatamente di aprirsi un varco per uscire da una tomba in cui è prigioniero.
Allora lascia cadere la pala. E prende fuori il cellulare.
Sta iniziando a piovigginare, mentre avvia il motore. Il tergicristallo spalma polvere, semi di piante e guano di piccione sul vetro della sua Punto.
Il cellulare suona appena lo accende. Una voce maschile, l’accento meridionale. — Il dottor Cameroni? Mi hanno dato il suo numero qui in questura... — Poi ha come un dubbio. — Parlo con l’antropologo forense? Giulio Cameroni?
— In persona. Dica.
— Sono il commissario Blandino. Hanno trovato delle ossa qui in città, in zona San Cataldo...
Il dottore sospira. Quanti sopralluoghi ha fatto, per ossa di maiali, vacche o cavalli, nella sua carriera? Troppi, di sicuro. E forse anche stavolta...
— Ossa come? Dove?
— Dita. Almeno, così ci hanno telefonato. Alla vecchia cartiera Tagliazucchi, quella che stanno demolendo...
— So dov’è. E lei...?
— Ci sto andando adesso, sarò là fra poco. — Una pausa. — Con la Scientifica, naturalmente. Intanto ho già detto di bloccare tutto, di lasciar stare pale e picconi e di aspettare noi.
— Ha fatto bene. — L’uomo annuisce, decide. — Ci vediamo là.
Si guarda il polso. Nove ottobre, le otto e venti. Di un lunedì di merda. Sospira ancora, poi fa inversione.
La poca luce del mattino non crea riflessi sui vetri rotti delle finestre, filze di denti che si aprono nei muri di mattoni. E lui pensa, parcheggiando, che regna quell’atmosfera di abbandono che si trova soltanto nelle fabbriche dismesse, dove quel che si vede è stato costruito per un’attività frenetica, efficiente, ma non si muove nulla. Dove l’eco di ferro contro ferro, delle voci di uomini più forti dei macchinari ancora vibra muta fra i muri, e il vento soffia attraverso i vetri sfondati e fuligginosi, facendo tremare le ragnatele e gli insetti morti.
Quando Cameroni esce dalla Punto, quelli della Scientifica sono già arrivati e hanno delimitato l’area con il nastro, che lui oltrepassa passandoci sotto. Il commissario Blandino e il responsabile della Scientifica Lanza gli vanno incontro, si presentano e lo guidano all’interno, dove i tecnici hanno sistemato delle luci portatili e stanno scattando le prime foto. Al loro ingresso tutti tacciono e aspettano, e per qualche secondo si sente solo il ronzio del generatore.
— Era una cartiera, una volta — comincia Lanza. — Da tanti anni, però, è solo un vecchio rudere, e sta per essere demolito. Ci faranno un ipermercato, dicono, o chissà che cosa...
Cameroni scruta il punto che gli hanno indicato. Anche se lo scheletro è ancora interrato, le ossa della mano si vedono bene, e sotto la luce dell’impianto portatile la loro superficie sembra color castagna.
— Va bene — dice in fretta. — Cazzuola e pennello, da adesso.
— Ci avevo già pensato — gli fa eco Lanza. E ai suoi: — Sentito?
Annuiscono. Sono in tre. Indossano tute bianche, guanti di gomma e mascherine di protezione davanti agli occhi. Poi cominciano a scavare, con calma e metodo, raccogliendo la terra in piccole mestole che poi svuotano dentro sacchetti di plastica. La parte superiore dello scheletro a poco a poco viene esumata. Si riesce a distinguere un braccio, una sezione della cassa toracica e la parte inferiore della mandibola.
— È l’uomo di Neanderthal? — Blandino tenta una battuta che nessuno raccoglie. L’antropologo sbircia Lanza, alle spalle del commissario, che si porta l’indice alla tempia, toccandosela due o tre volte in modo eloquente.
— Te ne intendi, Blandino? — gli chiede Lanza.
— Io? Per niente. So solo che quella roba marrone è terra.
— Non è neanche sepolto alla profondità canonica di due metri — interviene Cameroni. — Sarà sì e no un metro. L’hanno buttato lì sotto in gran fretta.
— Ci può dire già qualcosa? — domanda Blandino.
— Su queste ossa? Non sono mica un mago. — Fa una smorfia. — Si distingue ancora poco. Meglio sbilanciarsi il meno possibile finché non vien fuori dalla terra.
— Maschio o femmina? Età?
— Impossibile dirlo.
— Ma lei è un antropologo...
— Ma non un mago, le ripeto. Sa cos’è un antropologo forense? Uno specialista dello scheletro umano. Uno che interviene quando una normale autopsia su organi e tessuti molli non si può eseguire affatto. E quindi bisogna studiare le ossa per determinare l’identità di una vittima, le modalità di un decesso, eventuali mutilazioni postmortem o altre anomalie.
Mentre parla, si avvicina allo scheletro. Esamina il suolo, prende un pugno di terra e lo sbriciola fra le dita. Confronta gli strati accanto allo scheletro con quelli che gli stanno sopra e sotto, e osserva la densità del suolo intorno alle ossa.
— Ci sono dei testi specifici sulla criminalità e la geologia — riprende, chinato, — una sorta di geologia legale, se lei capisce cosa voglio dire.
— Credo di no — ammette Blandino.
— Be’, dicevo, attraverso lo scheletro possiamo stilare il profilo biologico della salma, con l’età, il sesso, la razza, l’altezza...
Poi si volta, si inginocchia, concentrato.
— Da quanto tempo sta qui sotto, allora? — torna a chiedere Blandino, dopo un po’.
— Non è facile dirlo. Credo non da molto.
— Non può esser più preciso? — insiste l’altro. — In anni.
— Non è facile dirlo.
— Quindi non è facile dire niente?
Cameroni si volta e sorride.
— Mi scusi, stavo pensando. Che cosa vuole sapere?
— Da quanto tempo?
— Come?
— Da quanto tempo si trova qui sotto — sbuffa il commissario.
— Tirando a indovinare, direi da una decina d’anni. Dovrei fare delle ricerche più accurate, ma è l’ipotesi che mi sembra più plausibile. La densità del suolo...
Dopo un paio d’ore lo scavo è finito, lo scheletro è dissepolto. Quelli della Scientifica fotografano meticolosamente tutto, dopo aver tolto ogni granello di terra, o così sembra, dai resti. E lo scheletro comincia a parlare. Ci sono frammenti di plastica nera, per cominciare, sparsi intorno al cranio e al collo, residui di un sacco evidentemente servito al trasporto del cadavere.
— E guardate un’altra cosa — dice l’antropologo. — I piedi sono piantati contro la parete inferiore della fossa, ma la testa non è appoggiata sul fondo della fossa, ma sulla parete opposta, perché la tomba è troppo corta. E cosa ci dice questo? — Gira intorno lo sguardo, lo ferma su Lanza. — Che è stata scavata in fretta. Ma noi lo sapevamo già.
— Dalla scarsa profondità dello scavo — borbotta Lanza.
— Sì. Poi, il cranio è frammentato, ma non c’è stata decapitazione, e questo è già qualcosa. Perciò è importante documentare esattamente tutto, così com’è adesso.
— Ha in mente... — Lanza lo scruta, — il laser scanner?
— Bravo. So che lo avete.
— Certo. Ci vorrà solo un po’ di tempo. — Estrae di tasca il cellulare. — Il tempo di telefonare all’ingegnere...
— Si tratta di un raggio laser — spiega intanto Cameroni a Blandino, — che colpisce un oggetto e ne registra tutte le coordinate 3D, dandocene una versione virtuale. Così avremo una replica perfetta di questo scheletro in tutte e tre le sue dimensioni, e a differenza di foto e filmati, lo metteremo sul computer e lo potremo osservare, girare, misurare anche a distanza di tempo. In questo caso credo che sia fondamentale. — Approva col capo. — Perché una posizione così schiacciata, dentro una fossa così, non riusciremmo a documentarla con le foto in modo soddisfacente.
— Senza contare che, una volta estratto il cranio — conclude Lanza, che ha finito di telefonare, — per via delle fratture che presenta, c’è il rischio che si riduca in tanti pezzi piccoli, e si perderebbero le loro reciproche connessioni. Sì, il laser scanner è la cosa migliore per fissare e studiare queste fratture, così come sono in origine.
L’ingegnere arriva prima del previsto. E in un’altra oretta l’intera tomba è scannerizzata. Poi Cameroni fa prelevare le ossa, pulire e recuperare cinque centimetri di terra dal fondo della fossa e portare tutto in laboratorio.
— Ehi, ehi... Guardate un po’ qua!
Lo interrompe la voce di un tecnico.
— Che c’è?
— C’è questo — risponde.
Gli porge un oggetto bruno, estratto dal terriccio. Lanza lo prende e lo esamina con cura, tenendolo sul palmo della mano. Una medaglietta e una catenina. Che la ruggine ha quasi fuso insieme sino a formare un unico blocco.
— Era incrostata di terra — spiega il tecnico, — e lì per lì sembrava un sasso.
Lanza stropiccia la catenina fra le dita, ripulendola un poco. Per quanto può vedere, gli anelli sono piccoli e ben fatti.
— Si direbbe una catenina da donna — osserva. — Dev’esser solamente placcata, a giudicare da com’è arrugginita. L’oro massiccio o l’argento non sarebbero così malridotti.
Poi sospira, la infila in una bustina di plastica. Blandino si stringe nelle spalle.