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Damster edizioni

Ilaria Montaguti
IL CORPO INCORROTTO

IL CORPO INCORROTTO
Prezzo Fiera 3,49

SOLO IN FORMATO EBOOK

Non si può girare per le vie di Bologna senza meravigliarsi dei suoi tesori. I monumenti, sotto gli occhi di tutti, avvolgono in un abbraccio i suoi abitanti. Il Gigante, che si erge fiero e possente, rivendica il dominio sulla città. La maestosa chiesa di San Petronio sorveglia benevola chi si siede nei suoi gradini. Le due torri si contendono il cielo. Ma esiste anche una Bologna misteriosa e segreta, sconosciuta al brulichio agitato di persone che ogni giorno anima le piazze e le strade. E solo scavando in profondità si possono portare alla luce storie e leggende dimenticate nel tempo, capaci persino di insinuare ossessioni nell’animo umano. Storie e leggende per le quali si può uccidere.

Primo capitolo o trama

CAPITOLO 1

Martedì mattina

L’ispettore Edo Guidi camminava lungo via Ugo Bassi con passo veloce e nervoso. Non riusciva a togliersi dalla testa la lettera che gli era arrivata il giorno prima come un fulmine a ciel sereno.

Le tranquille abitudini quotidiane e le amicizie consolidate durante tutti gli anni trascorsi nel Commissariato di San Giovanni in Persiceto stavano scivolando via dalle sue mani per colpa di poche asettiche parole: trasferimento nel Commissariato Due Torri San Francesco a supporto del Commissario attualmente in forze. Ordine con effetto Immediato.

Un bello schiaffo dalla realtà con zero preavviso. Dallo sgomento la lettera gli era caduta a piombo sul suo nuovo parquet. Quasi meccanicamente aveva composto il numero di Walter, suo superiore ma prima di tutto suo amico, raccontandogli l’accaduto.

La voce mesta di Walter era stata eloquente.

— Non posso fare nulla… e ci ho provato ti assicuro… ma in centro quel posto, che a quanto pare è una brutta gatta da pelare, è rimasto vacante e il tuo curriculum è troppo appetibile allo scopo. Ti ripeto… purtroppo ho le mani legate e non sai quanto mi dispiaccia.

La lunga telefonata che ne era seguita gli aveva permesso almeno in parte di razionalizzare ma soprattutto, grazie alle conoscenze del suo ex superiore, di avere informazioni importanti sul nuovo incarico.

— Da quanto so il tuo nuovo capo è un tipo scomodo, curriculum eccellente costellato di riconoscimenti bla bla bla… ma dal brutto carattere. L’acume e l’intelligenza investigativa non sempre va di pari passo con le buone maniere... l’ispettore precedente non ha retto e ha ottenuto il trasferimento dopo un paio di anni dalla richiesta. Ed eccoci qui. Comunque… vista l’impossibilità di scelta ti dico ciò che penso realmente: ti conosco e capisco che tu sia riluttante, ricominciare da zero non è facile per nessuno, ma sarà un’occasione per mostrare quanto vali.

— Ma perché io? — aveva chiesto l’ispettore.

— Semplice, perché sei bravo e… con uno stramaledetto buon carattere. Mi mancherai Edo.

~

Il commissario Primo Pelagatti strinse la cravatta. Il nodo era perfetto come sempre. Prese dall’indossatore la giacca della divisa e la infilò allacciando i bottoni accuratamente. Controllò l’assenza di pieghe. Mancava il cappello, ma sapeva di essere in tempo. Aveva i soliti 10 minuti per indossarlo, sistemarlo e risistemarlo fino a trovare la posizione corretta e poi ripettinare i capelli in vista.

“Perfetto” pensò tra sé “sì… non c’è aggettivo più calzante per descrivermi.”

La moglie, avvolta in una lucida vestaglia di seta rosa con in testa degli enormi bigodini, era in cucina a fare colazione mentre leggeva l’ennesimo giornale di gossip. Prima di uscire di casa lui la salutò con un fugace bacio sulla guancia, quasi solo per sentirsi dire come tutte le mattine: — Sei sempre così elegante tesoro! Buona giornata!

Si incamminò verso il commissariato Due Torri. Cinque minuti e sarebbe arrivato. Percorse Piazza San Francesco godendosi la fresca brezza di aprile e il sole che faceva capolino tra le rade nuvole bianche. Quel giorno sarebbe arrivato il nuovo ispettore, si preparò mentalmente il discorso. L’avrebbe ricevuto con le dovute maniere.

~

Da quando il marito era mancato, Bitisia De’ Rossi andava in negozio di mattina presto. Le piaceva iniziare la giornata curando i mobili antichi in mostra: li spolverava e li nutriva con l’olio accudendoli come se fossero dei figli. Impiegava anche più di un’ora, ma per lei il tempo speso in quell’attività non era mai troppo.

Poi si dedicava alla lettura della posta e, soprattutto, dell’ultima uscita di una qualsiasi rivista del settore. Spesso vi si trovavano affari interessanti, arredi d’antiquariato in offerta perché da restaurare. E Bitisia adorava restaurare mobili. A dire il vero era sempre stato quello il suo mestiere. Il negozio di mobili antichi non era suo, l’aveva ereditato dal marito antiquario, così come l’agiato tenore di vita di cui godeva.

Recentemente nel negozio aveva ricavato un angolo adibito a laboratorio di restauro. Suo marito non aveva mai voluto rimpicciolire lo spazio espositivo del locale e non aveva mai compreso appieno le sue esigenze, ma poi era arrivato anche per lei il momento di decidere. Ogni giorno, dopo aver aperto il negozio al pubblico, si sedeva nella sua postazione e, con estrema soddisfazione, riprendeva l’attività di restauro sul mobile di turno impegnando così le diverse ore della giornata in cui non entravano clienti.

La sua era una vita tranquilla, forse per alcuni troppo monotona e piena di solitudine, ma lei era totalmente appagata così. In passato aveva dovuto sopportare momenti difficili, ma alla fine le sue preghiere erano state ascoltate.

~

La classe Club Executive era assolutamente il top. Prima di partire aveva potuto accedere al lounge dove un attraente cameriere le aveva servito cappuccino e brioche, poi una volta salita in carrozza aveva trovato ad attenderla un’ampia e comoda poltrona con uno schermo personale e una vasta scelta di giornali e riviste a sua completa disposizione.

Lavinia Mancini amava le comodità e dato che il suo lavoro implicava frequenti spostamenti, per lei era essenziale viaggiare da vip.

Appoggiò sopra il tavolino la borsa griffata e ripose il suo costoso trolley nell’apposito vano bagagli. Si tolse la giacca e si sedette facendo molta attenzione a non sgualcire il suo nuovo Ralph Lauren rosso in georgette.

Decise quindi di chiamare il suo agente ma partì la segreteria. Attese il bip.

— Buongiorno tesoro. Volevo dirti che sono arrivata a Roma Termini e ora sono sul treno per Bologna. Mi attendono due ore e mezza di viaggio nel lusso. Dovrei arrivare verso l’una. In ogni caso appena ti svegli chiamami, sai che sono persa se non ti sento. — Ne seguì una breve risatina. — A dopo… baci baci!

Fallito il tentativo di impegnare venti minuti in una frivola conversazione flirtereccia, non rimaneva che studiare il copione.

Chissà che cosa le avevano propinato questa volta gli autori. Gli ultimi documentari erano stati un po' noiosi, ma lei era una professionista e grazie al suo lavoro godeva di una certa notorietà. Comunque fare documentari sarebbe stato solo l’inizio della sua carriera. Chi conta prima o poi l’avrebbe notata e così sarebbe diventata una showgirl a tutto tondo, famosa e soprattutto molto ricca.

~

Quando chiuse la porta del suo cottage, il suo fedele border collie gli corse incontro con aria festosa. Dovette appoggiare a terra il borsone. Si chinò nonostante l’ingombrante giacca cerata mentre il cane si sdraiava sulla schiena con le zampe in aria, avido di coccole.

— Sei incorreggibile Scottie! — disse Kenneth MacMillan anche se sapeva di non essere compreso. Ripensandoci però non ne era così sicuro, Scottie era un cane intelligente in modo disarmante. Rispondeva perfettamente agli ordini senza aver mai ricevuto un vero e proprio addestramento, intuiva immediatamente le diverse intonazioni della voce ma, più di ogni altra cosa, sembrava comprendere i suoi stati d’animo. Se lui era triste o pensieroso, Scottie gli si accovacciava vicino sopportando con lui il silenzio.

Probabilmente anche in quel momento sapeva già che il suo padrone sarebbe partito, per questo pretendeva il migliore dei suoi saluti prima di lasciarlo andare.

— Sono sicuro che con i nostri vicini starai bene. Dopotutto si tratta solo di qualche giorno e sarò di nuovo a casa. Mi mancherai anche tu amico mio.

L’immagine di Scottie dietro il cancello del suo giardino rimase nello specchietto retrovisore della sua auto fino a quando lo stretto viottolo che conduceva al suo cottage non si immise sulla strada principale di Livingston.

Era ormai un anno e mezzo che non si muoveva da quel paesino, lì aveva trovato rifugio dalla delusione. E ora decideva di affrontare nuovamente i fantasmi.

Imboccò l’autostrada M8 che l’avrebbe condotto a Edimburgo, lì avrebbe preso l’aereo per Bologna. Se fino a quel momento era sempre stato in dubbio, più si avvicinava all’aeroporto più si convinceva che lo doveva a se stesso.

~

Gilberto Tradii sfrecciava con la sua splendida auto sportiva gialla percorrendo la A1 in direzione Bologna. Aveva da poco passato l’uscita per Melegnano, ciò significava ancora 2 ore di viaggio. Sfiorò il touch screen per passare dal navigatore all’accesso USB. Aveva bisogno di musica per rilassarsi. Sentiva i muscoli del collo tesi, quasi infiammati.

Prese dal vano porta oggetti gli occhiali polarizzati e li indossò per dare un po' di sollievo agli occhi accecati dal sole. Era partito presto quella mattina sperando di evitare le ore di punta dei giorni lavorativi. E in effetti l’autostrada era scorrevole quasi quanto una pista da bowling.

Quando affondava il piede sull’acceleratore sentiva i cavalli della sua auto che si liberavano, per poi essere domati e imprigionati tra i giri del motore.

Avrebbe voluto riprendere il controllo della sua vita così facilmente come guidava quel bolide. E invece da qualche mese tutto gli era sfuggito di mano.

“Non ti devi mai fidare della felicità tesoro” gli diceva sempre sua madre “purtroppo non sa essere fedele”. Aveva sempre provato ammirazione per lei: da donna pragmatica e poco incline alle illusioni qual era, si destreggiava egregiamente in un mondo duro come quello dello spettacolo. Era riuscita a creare una sorta di scudo per proteggere se stessa e suo figlio dalla rete di finte relazioni e di tentazioni a cui continuamente era esposta. Tra l’altro la sua condizione di ragazza madre non le aveva certamente semplificato le cose…

Quando anche lui aveva deciso di lavorare nello show business, gli insegnamenti di sua madre si erano rivelati utili. Manteneva la massima riservatezza possibile e condivideva la sua vita privata con amicizie e conoscenze rigorosamente fuori da quel mondo.

Aveva trovato un equilibrio, rimasto solido fino a quando non aveva ceduto alle illusioni. Non le aveva riconosciute come tali, si era lasciato usare. Poi la situazione, diventata amaramente chiara, gli aveva fatto perdere la ragione.

Riemergendo dai suoi pensieri, si rese conto di non essersi minimamente rilassato nonostante la musica. Anzi, gli faceva compagnia il suo solito mal di testa.

Era stanco di avere mal di testa, di rimuginare, di stare male. L’unico suo desiderio era quello di liberarsi per sempre dei suoi problemi.

~

Nonostante girasse a piedi per le vie di Bologna da più di una settimana, Thomas MacIvory continuava a meravigliarsi dei suoi tesori. Era già passato diverse volte dinanzi alla statua del Nettuno, ma anche quella mattina si soffermò a osservarla ammaliato da tanta perfezione. Il Gigante si ergeva fiero e possente, rivendicando il dominio sulla città e sui suoi abitanti. Prima di abbandonare la piazza, Thomas fece due giri in senso antiorario attorno alla fontana. Sapeva che si trattava di una leggenda, ma ogni leggenda ha un briciolo di verità. Soddisfatto, si incamminò verso via D’Azeglio.

Thomas amava moltissimo esplorare i luoghi, la sua mente fotografica catturava immagini piene di particolari e le immagazzinava pronte all’uso. Questa sua abilità, alimentata dalla passione, si era rilevata molto utile nel suo lavoro. In effetti, riflettendoci, poteva dire in tutta onestà di svolgere egregiamente il suo ruolo di catalogatore museale in uno dei musei più rinomati di Londra. Realizzava le schede di inventario più dettagliate, le aggiornava tempestivamente con i risultati delle sue continue ricerche, selezionava e gestiva i programmi di catalogazione, spesso si ritrovava perfino a coordinare la squadra di catalogatori e assistenti. Era pazzo per il suo lavoro, lo amava alla follia.

Ma sapeva di volere ancora di più. Erano ormai cinque anni che veniva relegato in quel ruolo, svolgendo compiti per i quali non gli venivano riconosciute le adeguate responsabilità. Il suo obiettivo era quello di diventare un conservatore museale, a un solo passo dal vertice.

Quel pensiero continuava a occupargli la mente quando, senza neanche accorgersene, si ritrovò dinanzi al luogo che si era prefissato di visitare quel giorno: il Santuario del Corpus Domini di via Tagliapietre.

~

Dentro il piccolo bagaglio a mano che era solito portare in aereo mancavano solamente il suo affezionato taccuino, la chiavetta con le slide da proiettare e le stampe dei suoi ultimi articoli apparsi nel British Archaeology Magazine. Sir Charles Bathurst, professore di storia e archeologo di fama internazionale, era ormai abituato a viaggiare. Soprattutto nell’ultimo anno, a seguito della scoperta che era stata il punto di svolta della sua carriera, era stato invitato come relatore in numerose conferenze in giro per il mondo. E nonostante la sua non più giovane età, si era lanciato nell’impresa con l’entusiasmo di un ragazzo, felice di raccogliere i frutti dopo lunghi anni di studi e ricerche nell’anonimato e nella precarietà economica.

Il volo da London Heathrow diretto a Bologna era in orario. L’aereo sarebbe atterrato all’aeroporto Marconi alle 11:10. Chiuse la app della compagnia aerea e mise in tasca il suo smartphone. Chi avrebbe mai scommesso un penny, solo alcuni anni prima, sulla conversione alla tecnologia di un vecchio conservatore inglese, antico quasi quanto i reperti che studiava? Gli veniva da ridere ogni volta che si fermava a rifletterci su.

Il suono dell’orologio a dondolo del salotto lo risvegliò. Una decina di minuti a piedi per arrivare alla stazione di Baker Street e salire sulla Bakerloo line fino a Green Park. Poi la Piccadilly line fino a destinazione. Doveva sbrigarsi. Non poteva rischiare di perdere l’aereo.

~

Erano le nove di mattina quando Eleonora Albergati uscì dalla sua stanza e scese le sontuose scale per raggiungere il piano terra. L’hotel di Bologna dove soggiornava era veramente elegante e luminoso. Giunta al pianerottolo prima dell’ultima rampa, una consolle in mogano e un antico specchio ovale da parete attirarono la sua attenzione: dovevano essere pezzi di pregio, probabilmente di fattura francese. Si soffermò a osservare la sua immagine riflessa. Rispetto a un anno e mezzo prima ne erano cambiate di cose, si vedeva e si sentiva invecchiata. Sapeva di essere sempre di bella presenza con i suoi occhi color azzurro chiaro e i capelli biondo platino (in verità oramai forse più bianchi che biondi), ma aveva notato l’inesorabile aumento delle rughe sul suo viso. Inoltre da mesi si susseguivano notti insonni e difficili, di cui le profonde occhiaie malamente coperte dal trucco erano la prova evidente. Ma a parte l’aspetto esteriore il vero problema era ciò che provava, o meglio, che non provava più. Era diventata fredda e arida, nulla la faceva più sorridere o la rendeva felice. Sopravviveva.

Riprese a scendere le scale e in un attimo si ritrovò dinanzi alla reception. Attese il suo turno guardandosi intorno: l’ampia hall era superbamente illuminata da un maestoso lampadario in cristallo, divanetti di velluto damascato bordeaux accoglievano gli ospiti, candelabri e vasi con splendidi lilium bianchi adornavano i preziosi tavoli d’epoca.

Udì l’addetto al ricevimento rivolgerle la parola: — Madame? Madame? Salve, come posso aiutarla?

— Buongiorno, volevo solo sapere se era arrivato un pacco per me.

— Mi faccia controllare… vediamo… mi dispiace Madame, al momento non è arrivato nulla.

— Capisco… — non riuscì a nascondere la sua delusione. — Ripasserò più tardi, buona giornata.

— Buona giornata anche a lei — disse il receptionist.

~

Primo Pelagatti preparò dinanzi la porta del commissariato uno dei suoi sorrisi più accattivanti. Aveva a sua disposizione una gamma ben studiata di sorrisi: da quelli appena accennati per un saluto di cortesia fino alle risate eleganti per le cene conviviali con gli amici. Ma quello era un giorno particolare e, dovendo sfoggiare tutto il suo charme, scelse di non lesinare in smancerie.

Ultimamente, infatti, era giunta fino al suo orecchio un’insinuazione fastidiosa secondo la quale il precedente ispettore avrebbe chiesto il trasferimento a causa del suo brutto carattere e dei suoi modi arroganti.

“È stato sicuramente quell’ingrato a mettere in giro la voce. Ecco come si viene ripagati quando si danno le perle ai porci…” pensò tra sé. Tuttavia era sua ferma intenzione dimostrare che si trattava di pura illazione e l’arrivo del nuovo ispettore forniva l’occasione perfetta.

Appena si sentì pronto aprì la porta ed entrò. Come ogni giorno allo stesso orario il sovrintendente, gli agenti e gli assistenti lo accolsero nell’atrio in fila l’uno accanto all’altro e sull’attenti. Una degna accoglienza che egli stesso aveva gentilmente richiesto loro in segno di rispetto per il suo grado.

Egli continuò a sorridere e, accompagnando il saluto di ciascuno con un leggero cenno del capo, disse: — Buona giornata a tutti voi. Abbiamo già delle novità questa mattina? — come un gatto sornione attese la risposta.

— Sì, signor commissario! — iniziò uno degli agenti. — È arrivato da qualche minuto il nuovo ispettore. L’ho fatto accomodare nella sala d’aspetto dinanzi al suo ufficio.

— Capisco… per cortesia lo chiami qui. Per prima cosa vorrei fargli conoscere le persone in gamba che collaborano ogni giorno con me, la mia formidabile squadra.

L’assistente si concesse un secondo di stupore, ma poi eseguì prontamente l’ordine. Poco dopo ricomparve seguito da un uomo sulla trentina, dal viso gentile. La sua espressione inizialmente pareva interrogativa ma quando vide il commissario sorrise e gli tese la mano.

— Buongiorno commissario Pelagatti, io sono l’ispettore Edo Guidi. Piacere di conoscerla.

Il commissario si irrigidì di fronte ai modi diretti e privi di formalismo dell’ispettore, ma si controllò e decise di lasciare correre. Il sorriso, per quanto un po' tirato, illuminò i suoi occhi chiari.

— Buongiorno ispettore — allungò la mano e strinse quella di Guidi con decisione. — Benvenuto nel mio commissariato. Ci tenevo a presentarle i miei collaboratori, persone di grande valore che mi aiutano giorno dopo giorno in questo duro mestiere. Sì, un mestiere duro ma pieno di soddisfazioni. Con il tempo avrà il piacere di conoscerli e si renderà conto di quanto sia importante il loro contributo. — Mentre diceva quelle parole scrutava con la coda dell’occhio le espressioni dei suoi sottoposti. In quel momento dovevano sicuramente sentirsi orgogliosi di avere un capo come lui. Pieno di attenzioni e riconoscente.

Intercettò l’ispettore mentre si apprestava a dire qualcosa e lo interruppe.

— Se non le dispiace lascerei a più tardi le singole presentazioni e ne approfitterei per un colloquio privato. Mi vuole seguire per cortesia nel mio ufficio? — concluse Pelagatti.

— Certamente commissario — acconsentì Edo.

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