Amicizia, amore, passione calcistica. Sono i tre ingredienti che rendono A Berlino che giorno è un romanzo senza tempo, nonostante l’ambientazione negli anni Ottanta. In un crescendo avventuroso e sognante, il filo che lega Bari, metafora della “provincia” meridionale smargiassa e la Berlino ancora divisa dal Muro, guida il lettore alla scoperta di se stesso, miscelando memoria e sentimenti con stile sapiente e scevro da orpelli retorici. Il carattere schietto e talvolta persino ruspante dei personaggi tratteggiati dalla penna di Dragonieri tradisce all’inizio la loro complessità e il tormento che emerge solo gradualmente, in un crescendo di colpi di scena che tuttavia non scalfisce quel legame amicale così forte e così radicato nella cultura italiana da resistere a ogni buriana, capace di trascendere persino gli scossoni dei trasognati innamoramenti post-adolescenziali. Il contesto, variegato e anch’esso set ideale per repentine zoomate o audaci primi piani, accompagna l’incedere del viaggio, nucleo centrale del libro, accostandosi agli stati d’animo senza indulgere nella tentazione di assecondarli strumentalmente con i propri colori e senza unire il proprio rumore di sottofondo all’inconfondibile colonna sonora mixata dall’autore-Dj.