Mignon è una creatura poetica nata dalla penna di Goethe, simbolo di un sentimento specifico, la Sehnsucht, che in italiano si traduce impropriamente con la parola nostalgia. In realtà, Mignon rappresenta la nostalgia che ha perso il suo stesso oggetto, e che quindi non è soltanto dolore per la lontananza, diventando pervasiva e totalizzante proprio per la sua indefinitezza.
La musica ha dato suoni e voce a Mignon nelle composizioni scritte da Beethoven, Zelter, Reichardt, Schumann, Liszt, Thomas, Wolf…
E Schubert.
Partendo dalle specialissime pagine schubertiane dedicate a Mignon e dall’intensità che la voce dei versi di Mignon vi trova, personaggi e storie si dipanano a raccontare la Sehnsucht in alcune possibili manifestazioni tra persone come noi, o che nel nostro stesso mondo vivono. I diversi personaggi ci raccontano questo sentimento e ci accompagnano a scoprire, in parte persino con l’aiuto dello studio analitico della musica, e anche nel nostro stesso animo, la voce di Mignon che cerca di esprimersi per noi e dentro di noi.
Dal libro di Adriano 1
Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni,
nel verde fogliame splendono arance d’oro,
un vento lieve spira dal cielo azzurro,
tranquillo è il mirto, e sereno l’alloro,
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
vorrei con te, o mio Signore, andare!
Conosci tu la casa? Su colonne riposa il suo tetto
la sala splende, rifulgono le stanze,
statue di marmo immobili mi guardano:
ma a te, povera bimba, che hanno fatto?
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
vorrei con te, o mio Signore, andare!
Conosci il monte, il sentier che gira nelle nuvole?
Cerca il mulo la strada nella nebbia,
nelle grotte si cela la stirpe dei draghi,
la roccia precipita, su di essa il torrente:
lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
porta il sentiero; Signore, andiamo!
Chi mai dice questi versi ispirati all’inizio del terzo libro del Wilhelm Meister? Chi prova tanta nostalgia? Chi è questa ‘povera bimba’? Ma prima di chiedersi chi, la nostalgia è contagiosa, e il desiderio di vedere questi limoni e queste arance immersi nella brezza profumata, di calcare il pavimento di quella sala con le sue colonne solide e protettive, di dimenticare il dolore provato ha sommerso la semplice curiosità di sapere chi stia formulando così bene questo nostro stesso sentimento, e per un attimo siamo andati anche noi per quel sentiero.
È Mignon. La creatura che non parla.
Mignon è la seconda figura di una trinità archetipica, che nel romanzo di Wilhelm Meister viene a costituirsi. Wilhelm, Mignon e l’Arpista hanno origini ben distinte tra loro e, tranne che per il primo, oscure. Uniti i loro destini, così uniti da cementare le loro figure in un unico essere molteplice. Poco ci può importare di quanto di autobiografico ci sia in loro che ci rimandi a Goethe. Molto invece ci importa di quanto questa personalità scissa in tre, e comunque unitaria, ci rappresenti, di come ci rispecchi e si ponga come simbolo della nostra stessa taciuta o espressa molteplicità. Ancora di più ci importa di quanto questa trinità di esperienze e sentimenti ci parli come altri miti di arcana memoria. Figure danzano insieme a noi a chiarificare la nostra stessa esperienza; Edipo, Orlando, Giocasta, Clorinda, Parsifal, Orfeo, Don Chisciotte, Giulietta, Tamino, accolgono nella loro festa perenne anche Mignon con Wilhelm e l’Arpista, moderna trinità della ricerca, dell’ardore e del dolore.
Mignon non parla, non sa esprimersi sufficientemente nel normale linguaggio verbale; si muove a scatti, è rigida e seria.
Mignon fa l’acrobata, quasi una reminiscenza di un passato naturale virtuosismo, ma non sopporta di fare le sue acrobazie per un pubblico.
Mignon canta. Qui il suo mistero trova momentaneamente pace nell’espressione perfetta.
Mignon è nostalgia.
Nostalgia di un’armonia un tempo vissuta con i modi infantili dell’inconsapevolezza più saggia. Nostalgia senza oggetto, speranza disillusa in partenza. Speranza di tornare a quell’armonia, nonostante tutto.
Mignon si affida: vuole solo essere guidata di nuovo a quell’armonia, e per questo ha scelto il suo salvatore; Wilhelm l’ha difesa dal bruto che la sfruttava nel suo spettacolo di strada, e non immaginava che così stringeva con la piccola un patto per la vita. Lei lo ha legato a sé con il vincolo più stretto, quello che fa appello alla tenerezza di un animo incapace di cattiveria consapevole, e Wilhelm si è trovato, senza saper bene chi fosse lui stesso, ad essere padre.
Quanto Mignon è misteriosa, tanto Wilhelm è un libro aperto: è un giovane borghese che sfrutta la sua condizione di apprendista uomo d’affari, in giro per il mondo a fare esperienze commerciali, per dare completo spazio alla sua vocazione per il teatro. Uomo ricolmo d’intelligenza e di sensibilità, infatuato dal palcoscenico fin dall’infanzia, si lega ad una compagnia di attori che ben presto vedono in lui la soluzione ad ogni loro problema, gli danno lo spazio per esprimersi come scrittore e come attore oltre che come impresario e mecenate suo malgrado: lo legano facendolo sentire indispensabile, e sempre, in qualche modo, in debito.
Wilhelm è la fonte di energia per tutti: è la gioventù onesta e complessa che cerca la sua strada con tutta generosità d’animo, e nella disponibilità a farsi toccare il cuore trova la sua vera ricchezza.
L’Arpista, vestito di un’oscura palandrana, vecchio di secoli, conosciuto per caso una sera all’osteria, tocca il suo cuore; succede la mattina seguente la sera in osteria, quando si instaurava il legame tra Wilhelm e Mignon. Wilhelm si trova dietro la sua porta e l’Arpista comincia il suo canto, quello vero, non quello utile a guadagnar la cena, e Wilhelm non può staccarsi, e nello stesso tempo non può interromperlo. L’oscurità del dolore più solo mette i due in comunicazione, e lì si legano i loro destini.
La triade è ormai costituita.
Mignon canta Kennst du das Land insieme all’Arpista, che l’accompagna.
È il suo primo canto, uno dei preferiti di Wilhelm, che ha cercato di tradurne i versi in tedesco corretto, pur consapevole di perderne l’originaria autenticità infantile.
Melodia ed espressione piacquero molto al nostro amico sebbene non potesse intender subito tutte le parole. Si fece ripetere e spiegare le varie strofe, le trascrisse e tradusse in tedesco, ma riuscì a render solo pallidamente l’originalità delle frasi. L’infantile freschezza dell’espressione sparì, quando si volle dare una certa coordinazione alla lingua frammentaria e unificare le varie parti sconnesse. Anche il fascino della melodia era incomparabile. La fanciulla cominciava ogni verso con un’intonazione solenne, grandiosa, come se volesse richiamar l’attenzione su non so che di straordinario, annunciar qualche cosa d’importante. Al terzo verso il canto si faceva più basso e più cupo. Le parole «Non lo conosci tu?» le pronunciava con un’aria di mistero, lentamente. In ‘laggiù, laggiù’ era contenuta una nostalgia irresistibile e il suo ‘andiamo’ sapeva modularlo con accento vario ogni volta: supplica, invito, preghiera incalzante, lusinga. Dopo aver ripetuto per la seconda volta il suo canto Mignon tacque un momento, pensosa, poi fissò Wilhelm, e gli chiese:
– Conosci il Paese?
– Si deve certo alludere all’Italia, – rispose Wilhelm. – Dove hai imparato questo canto?
– Italia! – disse Mignon con aria seria – se vai in Italia prendimi con te, qui ho freddo.
– Ci sei già stata, piccola cara? – domandò Wilhelm.
La fanciulla non rispose e non fu possibile cavarle altro di bocca.
Schubert ha scritto un Lied per questi versi, e lo ha fatto con assoluta fedeltà alle indicazioni di Goethe, e con la sua magica perfezione nell’individuazione e nell’espressione dei sentimenti poetici.